martedì 19 marzo 2024   ::  
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Gianni Rodari

e la grammatica della fantasia

(per insegnare la poesia a scuola)

 

autori vari : De Francesco, Ongaro, Pardini, Fabriano, Binda, Spagnuolo, e : considerazione critica di Francesca  5a Liceo Ruiz Roma / (dicembre 2012)

 

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Cenni Biografici:

 

Gianni Rodari nasce il 23 ottobre 1920 a Omegna. Nel piccolo paese, sul Lago d'Orta  frequenta le scuole elementari e vive la sua infanzia  con spensieratezza, impegno scolastico e attività ludica.  Gianni Rodari  a soli dieci anni  rimane orfano di padre; per questo grave lutto familiare, rientra nella città natale della madre a Gavirate in provincia di Varese.

Frequenta con ottimi risultati il ginnasio (presso il Seminario di Seveso)  poi abbandona gli studi liceali  per optare  agli studi Magistrali che terminerà  con successo nell'anno 1937.

L'impegno scolastico  del giovane  Rodari  si alternata alle molteplici iniziative di Azione Cattolica e   1935 fu  nominato Presidente dell'Azione Cattolica  della sezione di  Gavirate.  L'incontro di Gianni Rodari con Monsignor Sonzini sarà decisivo per  dare visibilità alle sue prime pubblicazioni sul settimanale cattolico Luce  diretto dallo stesso Sonzini.  La curiosità intellettuali del nostro poeta  si spinge fino  agli studi universitari;  nell'anno 1939 si iscrive all'Università Cattolica di Milano alla facoltà di lingue  che abbandonerà senza quindi laurearsi per dedicarsi alla professione di insegnante di scuola elementare.  Nel 1941 vince il concorso per maestro ed incomincia la sua esperienza nel piccolo paese di Uboldo. Il suo impegno è comunque rivolto anche all'attività politica  che, in quel periodo,  è animata dai  fervori nazionalistici dell'Italia fascista. Gianni Rodari si iscrive al partito fascista ma  i fatti drammatici della guerra e le   tensioni sociali contro gli ebrei e contro la libertà di stampa allontanano in maniera definitiva, il nostro dall'impegno politico precedentemente assunto con il fascismo. Questo fatto è anche associato  alla drammatica deportazione e 'internamento, del fratello Cesare, in un campo di  concentramento  nazista, in Germania.

Per sostenere la resistenza dell'Italia e la liberazione dal nazismo, Gianni   Rodari   si iscrive al Partito Comunista ed inizia anche la sua prima attività di  giornalista presso il quotidiano  L'Unità;   al contempo non abbandona la sua passione di scrivere favole e filastrocche e, nel 1950 il nostro riuscirà a dare visibilità alle sue prime composizioni sul settimanale per bambini   "Il Pioniere" ;ne diviene anche direttore.  In quegli anni pubblica  i suoi primi libri dal titolo:

Il libro delle filastrocche ed il Romanzo di Cipollino.  

Va comunque ricordato che le prime composizioni per bambini di Gianni Rodari furono già state pubblicate, con lo pseudonimo Lino Picco,  qualche anno prima sotto il titolo di   Susanna nella famosa  rubrica "La domenica dei piccoli"; il personaggio di Susanna  fu estesa anche al  quotidiano l'Unità  per fare in modo che anche i bambini potessero partecipare alle vignette ed alla corrispondenza tra i lettori adulti ed i lettori bambini o che  si sentono ancora bambini. Questo primo aspetto di interazione tra mondo degli adulti e dei  piccoli assume sempre più la  valenza pedagogica di "contatto" tra genitori, figli e mondo della scuola.

Nel   1953 Gianni Rodari  sposa Maria Teresa Feretti e nel 1957 avrà una figlia, Paola.  Sempre in quegli anni Rodari inizia, precisamente in  data 1  dicembre 1958, un'importante collaborazione con il quotidiano  Paese Sera ma in lui c'e' qualcosa che lo spinge sempre più a dedicarsi alla sua passione di scrittore, così abbandona il suo lavoro a Paese Sera e si dedica interamente all'attività di scrittore per bambini.  Inizia così un'importante collaborazione  per la realizzazione dei "I Quindici" e del periodico  La Via Migliore. Inoltre con il "Corriere dei piccoli" nel 1964 pubblica a puntate La torta in cielo che anni più  tardi appare nelle librerie.  In quegli anni esce anche  il libro   Gli odori dei mestieri   in cui Rodari,  evidenzia sermpre più  la sua satira fanciullesca, il gusto per la parola inventata o mescolata con frasi bizzarre e inventate per appassionare e divertire sempre più i bambini. 

Nel 1970   vince  -  il Premio Andersen -  definito il più  importante concorso internazionale per la letteratura dell’infanzia; questo fatto accresce  la  notorietà di Gianni Rodari,  in tutto il mondo.  Inizia, sempre in quel periodo, la sistematica raccolta di tutte le sue opere in volumi antologici e  la pubblicazione del suo libro  Le novelle fatte a macchina. Con questa opera  Gianni Rodari si presenta al grande pubblico  in veste di  critico acuto ed ironico che con abilità e fantasia descrive i vizi e le virtù  del vivere quotidiano ed induce i lettori a riflettere su particolari casi della vita e paradossi. Un'altra importante opera esce, nel 1974  per Enaudi, con il titolo:  La grammatica della fantasia ; si tratta di un saggio che Rodari ha scritto  per  valorizzare i processi creativi della mente umana; a tale riguardo scrive l'autore:

 'Quello che io sto facendo è di ricercare le "costanti" dei meccanismi fantastici, le leggi non ancora approfondite dell'invenzione, per renderne l'uso accessibile a tutti. Insisto nel dire che, sebbene il Romanticismo l'abbia circondato di mistero e gli abbia creato attorno una specie di culto, il processo creativo è insito nella natura umana ed è quindi, con tutto quel che ne consegue di felicità di esprimersi e di giocare con la fantasia, alla portata di tutti'.  Il saggio (la grammatica della fantasia)  è un lavoro concreto che intende rivalutare il senso dello spazio e dell'immaginazione che grazie anche alla parola poetica, nella vita di ciascuno (non solo dei bambini) da valore alla capacità di inventare e di creare abilità che si rivelano anche geniali e razionali.

 

Non va inoltre dimenticato che  la  produzione letteraria di Gianni Rodari non è vissuta all'esterno della scuola in quanto rappresenta un fertile terreno di sperimentazione e di guida anche didattica l'esempio è la pubblicazione del libro Nel  pianeta della fantasia  che testimonia un particolare progetto condotto  nel paese Giuliano, paese della Campania con i ragazzi della scuola elementare "Fratelli Maristi" animati anche dalla presenza di Fratel Giorgio Diamanti che ha collaborato al progetto di Rodari per  coinvolgere  i bambini che vivono in un contesto talvolta provocato dalla malavita; si tratta di un libro ma rappresenta soprattutto la testimonianza di un  impegno civile  descritto dai ragazzi, con un linguaggio semplice ed aperto al dialogo  con il mondo degli adulti.

L'impegno culturale e civile,   oltre alla grande mole di lavoro letterario  accompagnato da convegni e viaggi in giro per il mondo, afievoliscono sempre più lo stato di salute di Gianni Rodari e nel  1979, il nostro  comincia ad accusare i primi problemi circolatori che lo porteranno alla morte, dopo un intervento chirurgico,  il 14 aprile del 1980.

 

La grammatica della fantasie e molte altre storie.....

 

Tutti coloro che hanno lavorato e tutt'ora  operano nelle scuole,  a contatto con gli insegnamenti o meglio,  le testimonianze  di Gianni Rodari,  hanno vissuto e vivono, con fantasia un contatto con i bambini.

Un dialogo che sa fare cultura anche attraverso il "gioco della parola" i  disegni che diventano fumetti di cantastorie con i  cavalli che volano e le  case che hanno perso le porte. Questo dialogo fantasioso  è anche cultura del sentimento perchè nei  racconti dei bambini  esiste un legame sentimentale con gli oggetti  dei loro  da rivolgere agli altri. E chi sono questi altri se non gli insegnanti? Questo primo contatto  è uno stimolo all'apprendimento scolastico. L'ambiente culturale  che stimola la  creatività,   senza trattenerla nei limiti  di una "fredda didattica" diventa un legame anche di solidarietà;  se ogni bambino infatti, fin dai suoi primi anni scolastici matura questo  legame solidaristico con i compagni e con gli insegnanti acquisisce  maggiore sicurezza di sé  e questo aspetto sarà utile per la sua crescita personale  anche in altri contesti, oltre la scuola, che lo metteranno in relazione con  altri soggetti  in luoghi ed ambienti in cui gli sarà richiesto di relazionarsi in forme più o meno organizzate.

Anche il maestro Mario Lodi ha pubblicato dei testi  di grande interesse per approfondire il metodo didattico e di comunicazione creativa già adottato da Gianni Rodari.  Tra i libri pubblicati da Mario Lodi, si ricordano al riguardo:

Rodari in Classe - Insieme -  Il paese sbagliato (diario di un'esperienza didattica) Purtroppo dice sempre Mario Lodi, molti insegnanti non hanno ancora la formazione adatta  e non hanno capito  che il loro ruolo non è soltanto quello di dare nozioni ai bambini,  senza entrare in sintonia con il loro mondo, le loro espressioni fantasiose. Stare a contatto con i bambini e dialogare con loro in maniera autentica, significa  raccogliere importanti spunti  anche per la società, perché anche i più piccoli,  non solo  i grandi-gli adulti, ne fanno parte. Ed è questo un punto di riflessione fondamentale per comprendere l'insegnamento rodariano. Capire che anche i bambini  fanno parte di questa società.  Con le nuove tecnologie virtuali, soprattutto al giorno d'oggi, tanti ragazzi tendono ad isolarsi dalla realtà  e diventa  più difficile, anche  per i genitori interagire con il loro linguaggio, le loro aspirazioni, la loro solitudine. In questa maniera, anche la scuola rischia di ridursi ad un luogo da vivere con noia e tanti ragazzi distratti  da altre attività, dai social network, dai videogiochi  o da altri divertimenti dannosi, transitano nell'ambiente scolastico come fossero degli sconosciuti e totalmente indifferenti alla possibilità che gli viene offerta per apprendere qualcosa di nuovo e stimolante anche per la loro crescita personale.

In alcuni casi   ci sono ragazzi che   studiano  e apparentemente partecipano alle attività scolastiche con slancio competitivo  solo per accontentare i genitori e gli insegnanti che si limitano a dare dei bei voti quando uno studente dimostra di aver studiato, anche a memoria, la lezione senza incoraggiarlo ad esprimere qualcosa di suo, che appartiene al suo modo di interpretare il mondo  e di interloquire anche con l'insegnante in maniera autentica non sobillato soltanto  dall'ennesima prova di verifica e di studio per il conseguimento di un bel voto. L'impegno  di  Gianni Rodari  era tutt'altra cosa, sicuramente era un impegno difficile anche in termine di energie perchè  non era  solo un insegnante ma un confidente, un amico un mediatore tra  la famiglia e la società; la sua opera la grammatica  della fantasia ce ne parla attraverso gli occhi e l'esperienza condivisa con i  bambini incontrati nelle aule delle scuole  che, per l'occasione diventavano  laboratori creativi ; si tratta di un saggio che non vuole essere un modello d'insegnamento ma, come già si è detto,  un contributo, una testimonianza una raccolta di riflessioni che, con il filo della fantasia,  aiutano ad incontrare il mondo dei bambini. Solo così il mondo dei bambini entra a far parte del mondo della scuola  ed attraverso questo contatto  ogni bambino riesce ad acquistare maggiore fiducia  nelle relazioni con gli adulti.

Gli insegnanti  rappresentano il primo contatto con il mondo esterno, oltre le mura domestiche e familiari, quindi questo contatto non deve diventare  traumatico ma di accoglienza e reciproca partecipazione. Grazie anche alla fantasia, il gioco, la parola che inventa e modella una relazione che si carica anche di una componente affettiva  tutti i bambini, anche  i bambini  timidi o con maggiori difficoltà di relazione,  riescono a portare fuori  dal loro mondo una parte di sé e la liberano grazie anche alla convinzione di trovarsi in un ambiente  accogliente ed amichevole;  solo in questo modo è possibile rafforzare un interesse per le attività didattiche che non rappresentano più l'ostacolo incomprensibile ma un momento di crescita e di impegno da condividere con amicizia, studio e gioco   tra i compagni della classe e le insegnanti. 

  

per aminAMundi /la redazione (vita di Rodari ) 2013) gennaio  

 

Una scuola grande come il mondo

C’è una scuola grande come il mondo.
Ci insegnano maestri e professori,
avvocati, muratori,
televisori, giornali,
cartelli stradali,
il sole, i temporali, le stelle.
Ci sono lezioni facili
e lezioni difficili,
brutte, belle e così così…
Si impara a parlare, a giocare,
a dormire, a svegliarsi,
a voler bene e perfino
ad arrabbiarsi.

Ci sono esami tutti i momenti,
ma non ci sono ripetenti:
nessuno può  fermarsi a dieci anni,
a quindici, a venti,
e riposare un pochino.
Di imparare non si finisce mai,
e quel che non si sa
è sempre più importante
di quel che si sa già.

Questa scuola è il mondo intero
quanto è grosso:
apri gli occhi e anche tu sarai promosso!

poesia trata da: Poesie della domenica di Gianni Rodari

 

 

APPROFONDIMENTI  

 

 

Autore: Angelo Ongaro

Ceatività  come materia di studio: 

Gianni Rodari nel mese di marzo di circa  40 anni fa,  in una serie di incontri con gli insegnanti delle scuole dell’infanzia comunali di Reggio Emilia  svolgeva le sue originali intuizioni sulla creatività dei bambini e sulle loro elaborazioni fantastiche di libera interpretazione della realtà quotidiana. Nasceva da quegli incontri “La grammatica della fantasia” che molte scuole dell’infanzia e molti educatori hanno continuato ad utilizzare negli anni successivi fino ad oggi.

Raccontava Rodari,:  mi fu data la possibilità di ragionare a lungo e sistematicamente, con il controllo costante della discussione e della sperimentazione, non solo sulla funzione dell’immaginazione e sulle tecniche per stimolarla, ma sul modo di comunicare a tutti quelle tecniche, per esempio di farne uno strumento per l’educazione linguistica dei bambini”.

Il giovane Rodari aveva letto un frammento del poeta tedesco Novalis che diceva “Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare”, rivelandogliene la possibilità di esistenza. Su questa intuizione Rodari aveva pensato anche al progetto di un libro che, se lo scrittore non fosse prematuramente scomparso non ancora sessantenne, avrebbe dovuto proporre una serie di “esercizi di Fantastica” una nuova disciplina che si rivelò strumento straordinariamente fertile per mettere alla prova le capacità immaginative di bambini e adulti.

Angelo Ongaro (da Tuttoscuola)     

  

Ritroviamo i valori perduti.
In una società che va via via peggiorando, è sempre molto difficile stabilire in che modo siamo arrivati a questo punto; al contrario, ci appare ovvia la necessità di cambiamenti. Probabilmente la crisi dei valori fondamentali, radicati nel cuore e nelle menti delle generazioni passate, ha segnato fortemente la nostra società. Per porre rimedio a ciò (almeno cercare di alleviare il problema) bisognerebbe puntare tanto sull’istruzione, cosa che probabilmente risulterà ovvia, ma non lo è.
Gran parte dei ragazzi (tra i quali rientro anche io) in fase di crescita passano forse più tempo su un banco di scuola, che tra le braccia di mamma e papà, e si trovano quindi a maturare la propria formazione tra insegnanti e compagni di classe. Un’ottima mossa da parte del sistema scolastico sarebbe osservare più da vicino l’aspetto umano, senza tralasciare lo studio (ovviamente). Quello che intendo dire e quello che ho notato nel mio corso di studi ormai quasi giunto a termine, è che spesse volte (eccezioni a parte) da parte del corpo docente manca un interesse umano, un’attenzione particolare (forse indispensabile al ragazzo che sta attraversando una fase di crescita delicata), un voler trasmettere qualcosa che vada oltre le discipline scolastiche, un maggiore scambio di opinioni e pensieri, poiché il dialogo, il confronto, l’interesse verso il prossimo stanno purtroppo scomparendo man mano che si va avanti e che le nuove generazioni risultano più evidenti. Bisogna ripartire da zero, bisogna riappropriarsi dei valori perduti e trasmettere la voglia di vivere la vita nella sua totalità e bellezza, lasciando da parte il superficiale che ne ha preso il posto.

(Francesca , 5. A Liceo “Vincenzo Arangio Ruiz”, Roma)

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convegno 

“La parola ai poeti e ai bambini” Convegno dedicato a Gianni Rodari

LINK Licenzahttp://www.parcolucretili.it/it/dettaglio.php?id=17558

 


ALTRE CONSIDERAZIONI critiche sul linguaggio dei ragazzi e l'arte poetica. 

autori:  Sara Maja Fabriano - Miriam Luigia Binda - Antonio Spagnuolo -  Ninnj Di Stefano Busà - Nazario Pardini -

 

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autore. Sara Maja Fabriano    

L'errore  CHE INSEGNA  e l'eredità di  Gianni Rodari

 

Ritenere la lingua dotata di potenzialità generativa consente di inventare conseguenze fantastiche ribaltando in positivo e sdrammatizzando gli ‘errori’, da quelli di ortografia a quelli di credenza e pensiero. Gianni Rodari sviluppa una lingua delle possibilità, alternativa a un sistema precostituito e ingessato, esalta l’eccezione rispetto a una norma (seguito da pochi cfr. Ersilia Zamponi).

L’errore è strumento di opposizione ai luoghi comuni, destruttura stereotipi, induce a riflettere e ristrutturare. Giocare sull’errore non è un invito al permissivismo didattico ma uno stimolo a individuare il messaggio innovatore che sta dietro quanto si considera comunemente errato, a capovolgere l’ovvio per creare nuovi significati. Anche il linguaggio figurato, i modi di dire, i proverbi, le metafore cristallizzate possono essere utili in funzione euristica.

 

"La grande magia del gioco di fantasia è rivelare il mondo interiore del bambino: le esperienze, le paure, i problemi. L‟immaginario infantile come proiezione di quel mondo e come strumento di conoscenza dei bambini da parte di noi adulti.‟ „La scelta o l‟opportunità di vivere la vita come gioco apre la strada a una esistenza felice, che è propria di chi ( poeti, artisti, scienziati, inventori) compie un lavoro che fonde insieme creatività scientifica o espressiva e creatività ludica.‟

 

Anche la  fiaba è importante perché il bambino riferisce a sé l’avventura vissuta dal protagonista, e si colloca nel mondo del gioco, gioco di parole e immagini che alludono a tutte le possibilità della vita Il bambino che l’ascolta gioca a crederla vera, come si gioca a teatro o all’opera, accettando le convenzioni della rappresentazione teatrale.

La fiaba, come la musica e la poesia, appartengono alla vita dell‟uomo  completo.

La difesa della fiaba si fonda sulla considerazione del valore educativo dell’utopia, che rappresenta il passaggio dalla accettazione passiva della realtà alla capacità di criticarla e all’impegno per trasformarla.  Gianni Rodari  ha sicuramente avuto il merito di aver fatto  parlare  la fantasia anche nella scuola.  Potendo così cogliere le possibilità offerte dal multiforme universo degli interessi dei bambini e dei preadolescenti,  un mondo dal quale attingere valori, sentimenti e la possibilità di ridere e di rilassarsi  anche attraverso il racconto  e l'uso del linguaggio che talvolta assume dei nuovi significati anche simbolici.  Per concludere qual'è il consiglio di  Mario Lodi che  ha sempre seguito le orme di Rodari?  Consiglio di Mario Lodi ai suoi alunni:

(....) ‘le vostre osservazioni sulla poesia ( come nasce, quando nasce, che cos‟è) sono tutte vere. Ma, naturalmente, non rappresentano tutte le cose che si possono dire con verità sulla poesia. Spero che tornerete sull‟argomento, per approfondire – per esempio- la riflessione sul linguaggio della poesia.

La parola giusta al posto giusto- la parola più espressiva- la parola più piena di significato. Forse troverete che nella poesia certe parole non nascono in presa diretta con l‟emozione, il sentimento, la realtà, ma da altre parole, che si richiamano, si suggeriscono tra di loro, si attraggono per formare “insiemi” di parole che non appartengono al linguaggio di tutti i giorni.‟

 

Sicuramente   l’insegnamento  che rivolgerà  la sua attenzione agli aspetti creativi della comunicazione darà la possibilità ai bambini di crescere attingendo ai sentimenti ed ai valori  ideali  che formano una prima relazione di gioco  nel rispetto delle regole dela scuola grande come il mondo!    

 

 

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autore: Miriam Luigia Binda  

 

L'educazione dei ragazzi 

(NEL DIALOGO e nel MITO  di  PROTAGORA).

 

La lettura del mondo -  l'interpretazione e  la descrizione che i bambini fanno della realtà attraverso i loro racconti e nei  disegni è avvolta di  allusioni che gli adulti di oggi, definiscono talvolta come fantasie o simpatie che  non hanno "capo ne coda" ossia non hanno un senso per la razionalità;     si deduce  non vi  sia  alcuna condizione logica  nei discorsi dei bambini, nulla di valido da riferire o mettere in connessione con la realtà complessa e razionalizzata degli adulti.   Diamo allora uno sguardo al mito presente  nel  dialogo di  Protagora,   scritto da Platone, diviso in tre periodi:

 

Primo periodo - riconducibile al mito di Epimeteo e coincide con la physis -.

Secondo periodo - riconducibile al mito di Prometeo e coincide con la technai -.

Terzo periodo - riconducibile al mito di Zeus che Protagora definisce anche periodo civile o del "discorso di maggior valore"  rispetto all'opinione individuale.

Il discorso di maggior valore è  inteso  anche come giustizia/legge (la dike) o  discorso che ha rilevanza per il bene comune; tale discorso   è anche  politico perché,  già si è detto in precedenza,  orientato ai  bisogni collettivi  non  all'opinione di un solo ed unico uomo.

Da queste considerazioni nasce la domanda:  ma lo  sviluppo (inteso con il mito  Protagorico)  nei secoli ha segnato lo sviluppo civile?

 A tale riguardo  si evidenzia proprio la  diKe, la legge - fondamentale  per la Polis.   Con lo sviluppo Protagorico la legge o la dike, grazie alla  parola (dialogo) assume un ruolo fondante per la civiltà in quanto.  per mezzo della legge,   è in grado di dominare   le forze  dell'inconscio-mitico-epimeteico.

 

Protagora

C'era un tempo in cui esistevano gli dèi, ma non esistevano le stirpi mortali. Quando poi anche per queste venne il tempo destinato per la loro creazione, furono dèi a foggiarle, nell'interno della terra, mescolando terra e fuoco e quelle sostanze che si fondono con fuoco e terra. E quando era destino che dovessero portarle alla luce, assegnarono a Prometeo e ad Epimeteo  l'incarico di fornire e di distribuire facoltà a ciascuna razza come si conviene. Ma Epimeteo chiese a Prometeo di lasciar fare a lui la distribuzione: "Quando le avrò distribuite", gli disse, "tu verrai a controllare". E, dopo averlo così persuaso, mise mano alla distribuzione.

Nel corso della distribuzione, ad alcune razze assegnò la forza senza la velocità, mentre fornì le razze più deboli di velocità. Certe razze le provvide di armi di difesa, per altre, invece, cui aveva conferito una natura inerme, escogitò qualche altra facoltà che assicurasse loro la salvezza. Infatti, quelle razze che rivestì di piccolezza, le provvide della capacità di fuggire con le ali, o di rifugiarsi in tane sotterranee; a quelle che invece fece crescere in grandezza, garantì la salvezza proprio con questo mezzo. E le altre facoltà le distribuì cercando di compensarle in questo modo. Ed escogitò

questo avendo la cautela che nessuna specie potesse estinguersi. Dopo che le ebbe provviste di vie di scampo dalla distruzione reciproca, escogitò un efficace espediente perché si proteggessero contro le stagioni mandate da Zeus, vestendole di peli folti e di pelli spesse, adatte a proteggerle dal freddo e capaci di difenderle anche dalla calura, e tali che, quando si mettono a dormire, ciascuna specie trovi in esse le sue coltri personali e naturali. E alcune le calzò di zoccoli, altre invece le provvide di pelli spesse e senza sangue. In seguito, procacciò certi cibi per certe specie, altri per altre: ad alcune specie riservò le erbe della terra, ad altre i frutti degli alberi, ad altre le radici.

E vi sono specie cui concesse di trovare il loro nutrimento predando altre specie animali. E fece in modo che le une fossero poco feconde, e che quelle destinate a esser preda di queste fossero invece molto prolifiche, al fine di assicurare la conservazione della specie. Se non che, non essendo un tipo molto accorto, Epimeteo non s'avvide di aver speso tutte le facoltà con gli animali: gli restava ancora sprovvista la razza umana, e non sapeva trovare una soluzione. Mentre si trovava impacciato in quest'inghippo, Prometeo viene a controllare il risultato della distribuzione, e vede che le altre specie animali erano ben provviste di tutto, mentre l'uomo era nudo, scalzo, scoperto e inerme. Ed era ormai vicino il giorno predestinato in cui bisognava che anche l'uomo uscisse dalla terra alla luce. Prometeo, allora, trovandosi in difficoltà circa il mezzo di conservazione che potesse trovare per l'uomo, ruba ad Efesto e ad Atena la loro sapienza tecnica insieme al fuoco, perché senza il fuoco era impossibile acquisirla o utilizzarla, e così ne fa dono all'uomo.

Grazie ad essa l'uomo possedeva la sapienza necessaria a sopravvivere, ma gli mancava ancora la sapienza politica, perché questa era in mano a Zeus. Prometeo poi non aveva più accesso all'acropoli, dimora di Zeus; per di più, c'erano anche le terribili guardie di Zeus. Egli allora s'introduce furtivamente nell'officina che Atena ed Efesto avevano in comune, in cui essi lavoravano insieme, e, rubata l'arte del fuoco di Efesto e quell'altra arte che apparteneva ad Atena, la dona all'uomo: di qui vennero all'uomo i mezzi per vivere. Ma in seguito, come si racconta, Prometeo, per colpa di Epimeteo, venne punito per quel furto.

E, poiché l'uomo venne ad aver parte di un destino divino, innanzi tutto, per via di questa sua parentela col dio, solo fra gli animali credette negli dèi, e si mise a innalzare altari e statue di dèi. In seguito, con l'arte presto articolò voce e parole, inventò dimore, vesti, calzari, giacigli e scoprì i cibi che venivano dalla terra.

Così provvisti, all'inizio gli uomini abitavano in insediamenti sparsi, e non esistevano città. Perciò morivano uccisi dalle fiere, poiché erano sotto ogni rispetto più deboli di esse, e l'arte artigiana che essi possedevano bastava loro a procurarsi cibo, ma non era sufficiente alla guerra contro le fiere. Infatti, non possedevano ancora l'arte politica, di cui l'arte della guerra è parte.[1]

 

Ciò che Protagora vuole rappresentare, con questa costruzione del mito è  la coscienza anche politica oltre che civile:  la civiltà  infatti     non è retta   dalle forze della  "physis" .  Tali  forze    inconsce o  istintive, della physis  riconducibili al mito di Epimeteo,  sono contrastate da Prometeo il quale   soccorre la natura umana e gli dona la tecnica "la technai".  Con la tecnica si distingue  la natura umana da quella istintiva  ed   irrazionale ma,  non è sufficiente per  il benessere  civile;   anche se l'uomo prometeico  ha imparato a "dominare il fuoco" sottratto ad Athena e Efesto, senza una regola politica rappresentata dalla  legge (la dike)      la convivenza non si realizza in quanto sopraffatta ancora    dai terribili conflitti esistenziali.  Per  il mito di Protagora  -  la legge  -  regola il rapporto dell'uomo con gli altri  e senza tale  governo  le persone   non sarebbero  "persone" capaci  di utilizzare gli strumenti tecnici  secondo  regole   etiche.  [2]

Si può dunque riassumere dicendo che  è la terza fase del mito (quella che individua la  giustizia -  la  Dike  figlia di Zeus) che evidenzia la Civiltà.

La Giustizia o Legge  fa uso della parola  per formare  un' opinione generale e d'impegno politico   e civile.   La Dike riconducibile al mito di Protagora  dunque,  non è più la legge della natura inconscia   ma  della riconciliazione  dell'uomo con l'uomo  e della giustizia temperata  dal coraggio; un coraggio  moderato e soprattutto soggetto alla riflessione.  (Nel  dialogo infatti   si parla   anche del coraggio in rapporto alle virtù).  Con  il  coraggio   entra in gioco soprattutto  l'educazione o Paideia.

L'educazione  attraverso l'arte della parola  si concilia con la coscienza senza  la quale non è possibile  formare la legge che governa la Polis.  Senza  Paideia   sarebbe davvero impossibile   superare la prima condizione fisica  o Epimeteica in cui prevale l'istinto;  anche la seconda fase mitologica della  conoscenza tecnica o Prometeica  sarebbe  incapace, senza educazione,  di regolare i  suoi conflitti interni perché   come afferma   Prometeo  l'uomo viveva  sotto rispetto, quindi non era rispettato perché  non c'era  la coscienza della  civiltà.

La Paideia è dunque al centro dello sviluppo  civile   perché esprime anche il benessere morale di una popolazione:   l'insegnante, in questo dialogo, è interpretato come soggetto preparato e morigerato;  un  saggio, un uomo  doppiamente     consapevole del suo ruolo di educatore  impegnato all'ascolto dei giovani e non,  per  predisporli alla  ricerca della  verità in senso  etico soprattutto;  il  maestro  o Sofista, in questo dialogo   è interpretato quindi  con un ruolo  "chiave"  per la coscienza civile, con un ruolo  indispensabile per  la  formazione  dei fanciulli i quali grazie al loro  maestro, apprendono  l'autonomia della propria coscienza orientata  alle    virtù  (quali la giustizia) indispensabili  per la vita   sociale e/o collettiva  della Polis.

   

Socrate

(....) Pericle, avendo la tutela di Clinia,  fratello minore del nostro Alcibiade, e nutrendo per lui il timore che venisse corrotto da Alcibiade, lo staccò da costui e lo mise in casa di Arifrone,   perché lo educasse; ebbene, prima che fossero passati sei mesi, quello glielo restituì , non sapendo farne nulla di buono. E potrei farti il nome di moltissimi altri uomini, che, per quanto buoni fossero essi stessi, non riuscirono mai a rendere migliore nessun altro, né dei familiari né degli estranei. Se io, dunque, guardo a questi casi, o Protagora, non penso che la virtù sia insegnabile. Ma adesso che ti sento fare queste affermazioni, mi lascio piegare e penso che quello che dici deve pur valere qualcosa, perché credo che tu abbia esperienza di molte cose, che molte le abbia imparate e molte le abbia scoperte per conto tuo. Perciò, se hai modo di mostrarci con maggiore evidenza che la virtù è insegnabile, non rifiutarci questa dimostrazione».[3]

 

Con la Paideia  si pensava  all'arte  dell'educazione.  Un arte che non esclude i giovani dal mondo degli adulti anzi,  li rende "più"  partecipi alla vita sociale   per  stimolarli al dialogo ed alla conoscenza che aspira  all'armonia,  al bene (anche in senso Platonico)  ed al buon senso inteso  come "misura o capacità di vivere in maniera equilibrata" indispensabile per   l'esperienza di ogni cittadino. Un insegnamento - quello di Protagora -  attualissimo, soprattutto al giorno d'oggi e  non esclude  riferimenti che possono, forse con un po' di fantasia, confrontarsi anche con la  teoria psicoanalitica freudiana  che fa riferimento alla centralità della coscienza   "dell'IO" (si potrebbe quindi dire - io aperto al dialogo  secondo il mito  Protagorico)  in continuo equilibrio tra le  forze  pulsionali dell'Es (Epimeteiche)   la rigidità di un Super-Io  intrapsichico  ed egoico (Prometeico).   

 

Protagora:

Le tue domande sono a proposito, o Socrate, ed io rispondo volentieri a chi fa domande appropriate. Se Ippocrate verrà da me, non gli capiterà quello che gli accadrebbe frequentando un altro sofista, perché gli altri sofisti rovinano i giovani; infatti, mentre costoro sono fuggiti dalle arti,quelli tornano a gettarli nelle arti, trascinandoveli contro voglia, insegnando loro calcolo, astronomia, geometria e musica», e intanto gettò un'occhiata verso Ippia. «Frequentando me, invece, non imparerà altro se non ciò per cui è venuto. E il mio insegnamento ha come oggetto il buon senso,  sia nelle faccende private, ossia come amministrare al meglio la propria casa, sia negli affari della città, ossia come diventare abilissimo nel curare gli interessi della città,

nell'agire e nel parlare».«Dimmi», dissi allora, «se riesco a seguire il tuo ragionamento: mi pare che tu stia parlando dell'arte politica e che prometta di fare degli uomini dei buoni cittadini».

«è proprio questa, o Socrate», rispose, «la professione che io professo!».[4]

 

Miriam Luigia Binda

 

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1  Platone - PROTAGORA pag. 7-8 - edizioni Acrobat

2 La conoscenza non è comunque intesa come valore assoluto ed oggettivo, poiché è   impossibile da individuare ma è il risultato di una esperienza che dimostra l'utilità di un dato comportamento (per questo  si può dire che il sofista avesse  un concezione di "verità etica" ed il carattere dell'umanista).

3 Platone - PROTAGORA pag. 6  - edizioni Acrobat.

4  Platone - PROTAGORA pag. 5-6  - edizioni Acrobat.


 

 


 

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Considerazioni sul linguaggio poetico ed il linguaggio infantile. 

 

Risponde il Poeta e Saggista : Antonio Spagnuolo

 

D. 1 - come interpreta il linguaggio della poesia? E' vero che è simile a quello dei bambini? 

R. Il bisogno di esprimersi in versi nasce con il  bagaglio culturale che ognuno di noi  cerca di arricchire giorno dopo giorno, fra letture dei classici , riletture di testi fondanti, approfondimenti delle scritture contemporanee, mai tralasciando tutte le ricerche che si affacciano generazione dopo generazione.

Sgretolare la insicurezza in un raffinato ed inquieto tessuto del dire, per realizzare l’impalcatura dell’anima in un suggestivo attraversamento ideologico. Tra sperimentalismo e rielaborazione lo stile si realizza in tematiche a volte nostalgiche , a volte intimistiche, a volte impregnate di quell’eros che non lascia mai immuni, sia per il valore intrinseco della reazione personale , sia per la immanenza di un fantasma onnipresente nella nostra psiche. Ciò mi fa credere che il linguaggio della poesia non è per niente simile a quello dei bambini , i quali si arrovellano alla ricerca del nuovo vocabolo per indicare un oggetto o un soggetto , per esprimere i loro desideri. Il bambino ha con il crescere un modo di esprimersi semplice e quasi sempre inadeguato alle circostanze . non riesco a equiparare linguaggio del bambino a linguaggio della poesia colta , proprio perché la “poesia” è lavoro di cesello , di costruzione accorta, di rielaborazione del dicibile.  Soltanto maturando e arricchendo il proprio vocabolario il bambino / giovincello riesce a concepire il linguaggio poetico.

 

D. 2 - cosa fa sentire ad un' intellettuale lo slancio verso la poesia?

R.                   Questa domanda crea alcune difficoltà , perché io penso che non esiste un movente unico che spinge l’intellettuale verso la poesia. La poesia nasce nel nostro subconscio e l’inconscio stesso è il luogo della poesia. Esprimersi con la poesia diventa a volte una necessità primaria , nella speranza di comunicare agli altri quelle sensazioni, quei sentimenti , quelle illusioni che quotidianamente allertano il nostro intelletto, e che troppo spesso non vengono recepite dal pubblico inesperto.

La società ha sempre tenuto a bada chi scrive di poesia. Oggi particolarmente egli appare come “il perdigiorno” che non sa come realizzare i suoi tempi e le sue precarietà. Purtroppo intanto ci sono troppi “autori” che si arrampicano voracemente alla musa poetica, sfornando centinaia di volumi e volumetti che molto spesso non valgono una cicca. Allora ci si chiede se esiste veramente un poeta con la p maiuscola e se la società giustamente non calcola proprio che scrive di poesia, perché non matura culturalmente. 

 La politica, quella politica che poteva vantare ideali e programmi di alta morale, particolarmente la politica in Italia, ormai non esiste più ! Chi faceva veramente politica erano i grandi nomi che sono apparsi sino agli ultimi anni 60 – 70 . Ormai la frenesia del potere a tutti i costi e la non partecipazione degli uomini validi agli agoni politici hanno creato una classe dirigente che se ne frega allegramente della giustizia , della morale, della cultura.

 

D.3 – La parola ai bambini ?

Forse possiamo con semplicità ascoltare la parola dei bambini, perché essa è espressione della ingenuità, della luminosità , della illusione che il mondo ci venga incontro nel migliore dei modi e nella più chiara partecipazione. Possiamo inseguire con loro quelle immagini fantasiose che arricchiscono l’intelletto , per crescere nella colorazione del dicibile , senza sotterfugi e senza contorsioni letterarie.

Napoli – 28 – 11 – 2012

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autore: Nazario Pardini

Vivere la poesia

 

Ho avuto molte esperienze a proposito. Ho fatto parte di commissioni per aggiornamenti di maestri su programmazioni, su unità didattiche, su strumenti di lavoro e verifiche. E fra le tante unità programmatiche, spesso, abbiamo inserito quella dell’utilizzo della poesia di Rodari nella scuola  elementare e media. Con tanto di obiettivi didattici specifici e trasversali: potenziamento del lessico, della comprensione del testo, della sensibilizzazione al gusto della lettura poetica, avvio alla comprensione delle prime figura stilistiche, della differenza fra realtà e immaginazione, della grammatica del verso (metrica, sillabazione, armonia del dettato poetico), avvio alla comprensione della funzione del memoriale nella poesia, potenziamento delle abilità d’osservazione, e delle capacità intuitive e di lettura Il fatto sta che i ragazzi, poveri di lessico e ricchissimi di fantasia e di sentimento, non possono combinare quel famoso equilibrio fra dire e sentire, requisito indispensabile per l’atto poetico. O perlomeno lo fanno in maniera molto ridotta. E così si limiteranno ad espressioni semplici scaturite  magari da cuori vergini e puri, ma sempre espressioni lontane da ciò che si intende per vera poesia. Poesia è maturazione, è esperienza di vita, arricchimento di vicende personali, lavoro, lettura, lettura, lettura e coscienza di essere e di esistere. Poesia è un grande bagaglio intimistico memoriale, lessico-fonico e prosodico. Non è che il poeta si sveglia d’improvviso la notte perché baciato dalla musa e butta giù la sua creazione sotto ispirazione. Il poeta lavora a lungo sulla sua opera. La fa riposare, la riprende, l’aggiusta, finché pensa di avere ottenuto il massimo. E quanto più cresce questo bagaglio di esperienze verbali tanto più sarà possibile rivestire i nostri sentimenti di un abito adeguato.  Perché il nostro animo è un pozzo infinito e la parola non sarà mai sufficiente a soddisfare del tutto le esigenze richieste da tanto sentire. Figuriamoci per alunni in possesso di un dizionario elementare, e molto approssimativo. Perché vivere la poesia è amare la parola, è amare quei nessi indicibili e indecifrabili che ci accostano all'eterno. Vivere la poesia è amare le belle persone, che sanno fare dell'anima un'oggettivazione unica di visioni e colori che ci elevano alle soglie del cielo. Vivere la poesia significa, anche, distrarsi un po' da queste maledette disgrazie che torturano la povera gente. Ma è anche prendere spunto da questi fattacci per scrivere ed impegnarci a che le cose migliorino. Quindi tuffarci nel quotidiano con tutta l’esperienza del nostro vissuto. E vivere la poesia è introdurci nel mistero della vita e in quello della stessa poesia. Mistero che ci stordisce, ci estranea, ci sradica per avventurarci oltre i confini dell'umano. Sì, perché non è umano l'atto estetico! Non può essere ridotto a qualcosa di caduco. E' il Bello e il Bello pretende sempre qualcosa di più. Una grande opera, ad esempio, mi fa provare l'estasi dell'arte. La sindrome di Stendhal; e il piangere per me è cosa normale di fronte a una realizzazione esteticamente plurale, eccelsa, celestiale.

E fare poesia, infine, è penetrare nei segreti più reconditi dell'anima umana, zupparci di pensieri e di sentimenti universali, farli nostri e rovesciarli sul foglio pitturati della nostra unicità. Ed è un dovere impegnarci a che la poesia e la cultura abbiano il sopravvento. E' un dovere scegliere e mettere in evidenza la bravura e il talento di coloro che amano e provano i brividi dell'arte, che sanno tradurre le pulsazioni interiori in atti creativi, perché, cari amici, deve essere il Bello ad avere la meglio sulle sottrazioni del mondo contemporaneo. Sulla materializzazione spudorata dell'uomo consumista. E per aiutare il Bello occorre amare, amare, amare; e recuperare il mito di madre natura, anche soffrire delle sue antiche carestie, per tornare nuovi alla luce di un sole che risplenda su prati e colline carezzati da brezze sapide di profumi di terra e di fiori, e non di scarichi mortali. "Perfino i gabbiani/ non riconoscono più il mare/ e si perdono fra i detriti dell'ingordigia umana." Ma alla base del tutto occorre la parola, la capacità di slargarla, estenderla, smussarla, sforzarla per adattarla alle complesse sfumature delle intime vicissitudini. Tutt’al più un ragazzo di quell’età potrà fare una bella cosina, spontanea, anche piacevole, ma pur sempre povera della cosiddetta forma, quella in cui il De Sanctis inglobava tutto l’atto creativo. In conclusione possiamo dire che l’utilizzo della poesia di Rodari ha, senz’altro, un aspetto positivo: quello di avviare i giovani ad amarla, perché col suo linguaggio, con le sue immagini, e col suo dire semplice, musicalmente accattivante e sintonizzato alla mente dei ragazzi di quell’età arriva con immediatezza al loro cuore ed è di facile memorizzazione. Questo sì! E non è poca cosa. (12 dicembre 2012)

 

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