martedì 19 marzo 2024   ::  
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Armando Alciato

qui di seguito si propongono alcune note di approfondimento relative ai testi di Armando ALCIATO 

 


ARMANDO ALCIATO

note biografiche:

Armando Alciato, è nato a Strambino, in provincia di Torino, da famiglia biellese, nel 1920.

Dopo essersi diplomato presso l’Istituto Tecnico "Mossotti" di Novara, chiamato alle armi nel 1940, partecipò alla campagna di Tunisia nel 92° Reggimento di Fanteria della Divisione Superga sino alla resa (11/5/1953) e restò prigioniero dei francesi per tre anni nel campo di Saïda in Algeria.

Attualmente risiede a Borgosesia. A partire dal 1989 i suoi scritti, editi ed inediti, hanno raccolto ampi consensi e conseguito numerosi premi (oltre 70 tra primi, secondi e terzi premi).

Conclusa una brillante carriera dirigenziale ed imprenditoriale, ha pubblicato vari volumi fra cui: in prosa "Memorie di un prigioniero", La Ginestra, Firenze 1987; "Gioventù stellette e dolori", Valsesia Editrice, Borgosesia 1991.

In poesia "Voci e Memorie" (poesie 1946/1988), Seledizioni, Bologna 1989; "Geografie dell’anima" (poesie 1988-1993), Gabrieli Editore, Roma 1993.

Nell’ottobre 2000, a cura dell’editore Gabrieli di Roma, è uscito un volumetto di saggistica dal titolo "Note sulle braci di S. Màrai Fahrenheit 451" di R. Bradbury. In marzo ‘98 è uscita nella collana de "Il portone letteraria" Offsetgrafica, Pisa, la raccolta di poesie (1993-1997) "Fuga d’attimi" e nel gennaio ‘97 e settembre ‘99 i volumi di saggistica "Appunti di lettura" e "Dentro i libri".

Nel gennaio 2002, per i tipi di Nicola Calabria editore, Patti (Me), è uscita la raccolta di poesie (1998/2001) "Il vuoto delle forme" e nel settembre 2003 "Dentro i libri 2", da Gabriele, Roma "La giovinezza a Parigi di E. Hemingway" e "Fromm fa il punto su Freud".    


 

Società, religione, estetica, economia e filosofia

 

Appunti per una letteratura di fine secolo:

Dalla solitudine dell’uomo all’infinito dell’umano

in Dentro i libri (Il Portone/Letteraria. Pisa. 1999. Pp. 288)

 

di Armando Alciato


 

note: Nazario Pardini  

 

 

Quando mi è stato proposto di fare la prefazione a questo libro, sinceramente mi sono impressionato per la vastità dell’opera e la complessità delle tematiche. Ma una volta accintomi alla lettura, già fin dalla citazione di Blaise Pascal, mi sono introdotto nello spirito dell’autore, nella coerenza delle sue scelte, dei suoi propositi, nella passione schietta, trasparente e leale dell’uomo che ha vissuto l’anima del nostro secolo e come soldato, e come prigioniero, e come attore, ma soprattutto come scrittore e poeta. Ed è riuscito a raccontarci col supporto del vissuto o di esperienze ora impegnate, ora liriche il suo modo d’interpretare l’esistenza, sottoponendo la realtà circostante, spesso infida, a un giudizio a volte perentorio e tagliente a volte comprensivo. L’autore, testimone e interprete, quindi, della grande avventura letteraria saggistico-poetica del nostro paese e artista di indubbia qualità, non solo ha vissuto, ma ha saputo esemplificare le inquietudini e le sollecitazioni della contemporaneità in una successione concatenata di vicissitudini storico-artistiche valide a connotare le tappe fondamentali dei momenti più cruciali del centennio. Avevo già avuto il piacere di prefare una silloge di Armando Alciato, edita dalla medesima casa editrice, dal titolo Fuga d’attimi e di coglierne le qualità degli aspetti meditativi e poetici, quando, assalito dal dubbio dell’imperscrutabile nell’arduo confronto con i grandi della contemplazione (basti citare S. Teresa), tendeva a sottrarsi alla “voragine del nulla” dando corpo di vigorezza ad un irreale teso a farsi verità, sostanza, realtà, alcòva, piacere, e in questo caso, a proposito di Itinerari di lettura, credo, pensiero chiaro, stabile, costante e supporto basilare della sua vita (vedi prefazione a Fuga d’attimi).

 

Già la citazione di Pascal, dunque, ci introduce nel suo mondo; in un libro che spazia attraverso le tematiche più vaste e i contenuti più complessi; la costante di Alciato, il suo metro di paragone e di misura è il rapporto dell’individuo con l’insieme, la sua eticità e la sua volontà commisurate a un senso d’infinito e di eterno in cui si proietta l’umano e in cui Alciato bramerebbe perdersi quasi come realizzazione Hegeliana dell’essere.  D’altronde, considerando sotto questo aspetto le letture del Nostro e naturalmente le note e le considerazioni, emerge una chiara volontà di scelta ben precisa, anche se varia, di opere e di autori (M. Weber, D. Campana, A. Rimbaud,  I. Calvino, M. Proust, S. Teresa, Sant’Agostino, fino a R. Aron e a concludere, non a caso, l’ultima opera partorita recentemente dal coraggio e dalla documentazione scientifica di S. Courtois e autori vari) che in un modo o nell’altro, in positivo o in negativo,  contribuiscano a convalidare verità politiche, meditativo-religiose, sociali, filosofiche, poetiche e antropiche, sulle quali il Nostro ha indagato, con le quali ha forgiato il suo essere e la sua cultura, e verso le quali ha indirizzato la sua attenzione per consolidare il suo credo. E a proposito del saggio su Le origini del capitalismo secondo M. Weber, credo che sia importante la conclusione per iniziare e proseguire un discorso di metodo: “Lo slancio creativo del capitalismo trova impulso - dato il debito peso alle tradizioni ed alle condizioni storiche ed ambientali - soprattutto nel vitalismo e nell’efficientismo di individui particolarmente dotati, più che sui supporti dello spirito religioso o sull’aiuto dello Stato.

 

Non per nulla Schumpeter affermava che quello di Keynes era “un capitalismo  sotto la tenda ad ossigeno”, un capitalismo, cioè, vivo, ma non vitale, perché alla totale mercé di pianificatori di Stato, che quasi mai pagano di persona in caso di errore”. Arduo certamente sarebbe percorrere il tragitto attraverso ogni singola tappa di lettura. Per questo, sia per esigenze di spazio, che di coesione esegetica, porremo l’attenzione su alcuni testi determinanti. E non per niente, per passare dal genere economico a quello strettamente poetico, l’autore, nel saggio Note su Canti orfici e altri scritti di Dino Campana, dichiara di amare tra i grandi della nostra letteratura con Campana, Ungaretti e Montale: “Con lui, e con Ungaretti e Montale, che restano fra i sommi della poesia italiana, si abbandona ogni traccia di aulicità, di celebratività, di commemorazione, per riprendere un cammino che scava gravemente nell’intimo dell’individuo, ne svela i dolori, le cadute, le gioie effimere, l’assenza e l’unità perduta. La poesia, se vuole essere vera ed autenticamente fedele a se stessa, non può mischiarsi con la politica, ma deve rivolgersi all’individuo irrimediabilmente immerso nella propria frammentata solitudine, visitato da profonde commozioni e piegato da altrettanto profonde angosce”. Se vogliamo, questi sono i canoni estetico-poetici di Alciato: lirismo, autenticità, disimpegno e concretezza espositiva. In questi autori ritrova se stesso, i percorsi tanto angoscianti dell’esistenza, o piuttosto adatta questi poeti al suo modo di essere per propiziare quello slancio indefinito vòlto a soddisfare la sua realtà interiore e sempre “più fedele alla propria  solitudine e alla propria negatività” intesa come mondo alternativo che si fa realtà e motivo di vita. A conferma la lirica riportata alla pag. 34: Entro una grotta di porcellana  di D. Campana, dove, come afferma il Nostro, realtà e trasfigurazione lirica sono fuse in tutt’uno inscindibile. Ed io credo che il tutt’uno corrisponda proprio al momento superlativo dell’atto estetico; il supremo godimento dell’eccelso, il reale che riesce ad assurgere a valenza di creatività e di immaginazione. E Rimbaud non viene còlto, forse, nell’atto di isolamento lirico, unica sua realtà, e di esclusione dal reale, al fondo del quale prende, comunque, corpo l’oltretomba e vita e morte diventano contigue? Vorrei concludere con l’ultimo saggio, ma non certo il meno importante, per delineare la personalità di Armando Alciato: quello di Courtois e autori vari dal titolo Il libro nero del comunismo. Uno degli ultimi lavori a mettere insieme, attraverso documenti storicamente esatti e precisi, i dati degli eccidi di una dittatura tenuta nascosta o giustificata fino all’impossibile da una casta di intellettuali nostrani che ha dominato il monopolio della cultura dal dopoguerra quasi fino ai nostri giorni. Franco Andreucci e Ugo Bigazzi pubblicarono agli inizi degli anni ‘90 una lettera di Togliatti scritta a Mosca nel ‘43 e diretta a Bianco in cui scriveva di non trovare “assolutamente nulla da dire se un buon numero di prigionieri italiani morirà in prigionia in conseguenza delle dure condizioni” di vita instaurate nei campi di concentramento sovietici. Per lui quegli italiani erano dei fascisti. Ma per Alciato, al solito, il saggio non acquisisce solo carattere politico, ma più che altro valore di verità etica, sociale e umana, verità che è alla base della condotta di vita morale ed estetica dell’autore stesso: “Sarebbe bene che nelle nostre scuole venissero lette alcune pagine delle raccapriccianti testimonianze raccolte da Giulio Badeschi nei due poderosi volumi Prigionia.

 

Questo è il guaio delle ideologie totalitarie: le dottrine cui fanno riferimento diventano dogmi assoluti, non ammettono dissidenze, i diritti dell’uomo e le relative libertà vengono conculcati e fatalmente si precipita nella repressione”; “Tracciare un parallelo tra nazismo e comunismo, in base alle vittime, non ha senso perché la Storia non si fa con la semplice aritmetica. [....] Entrambe erano ideologie repressive, segregazioniste e illiberali, [....] la palma va però di gran lunga al comunismo, almeno su scala mondiale”. Lo stile e il linguaggio sono incalzanti, ora violenti ora più pacati, ma pur sempre usciti da una penna cui preme farsi capire; quindi semplici e chiari, perché il messaggio che l’autore vuole comunicare è sentito, vissuto e scaturisce da un’anima che è maturata a sue spese su quegli accadimenti per anni paradossalmente sottaciuti. Purtroppo scrittori senza pudore e ritegno ricordano e condannano (giustamente)  degli anni ‘70 la giunta militare argentina del generale Videla, il colpo di stato di Pinochet in Cile, ma, guarda caso, si dimenticano del contemporaneo genocidio, commesso dai Khmer rossi in Cambogia, di ben tre milioni di vittime su settemilioni di abitanti, di quello dei sovietici in Afganistan e di quello del comunismo cinese che, secondo le dichiarazioni di Mao Zedong, dal 1949 al 1971 ha fatto 50 milioni di vittime. Denunciano la mattanza dell’esercito israeliano nei campi palestinesi di Sabra e Chatila, ma si dimenticano di memorare quelle dei regimi arabi. Denunciano “un affronto alla Dichiarazione universale” (e mi trovano d’accordo) per due attese esecuzioni capitali negli Stati Uniti, ma evitano di ricordare che proprio Amnesty denuncia la Cina come il regime che detiene questo macabro primato (il 65% delle esecuzioni capitali ogni anno). Per concludere io credo che i temi della libertà, della pace, della democrazia, del rispetto dell’uomo e del diritto alla vita vadano trattati a 360 gradi, al di sopra di ogni convincimento politico, soprattutto da parte di scrittori e poeti che possano toccare i più vasti ambiti con i loro scritti. Anzi da certi episodi (senza delimitazioni geo-politiche) dovremmo trarre esempi universalmente validi per rafforzare quei principi morali di certo indispensabili alla crescita di convivenze civili che lievitino su memorie storiche. Alciato lo fa: questo sicuramente è il suo credo.

 

(novembre 2013 per aminAMundi /autor Nazario Pardini

 


ALTRI approfondimenti:

ARMANDO ALCIATO - appunti per una letteratura di fine secolo

(Il Portone/Letteraria. Pisa 1998. Pp. 70)


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