martedì 19 marzo 2024   ::  
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CLEMENTE REBORA - IN APPUNTO


 

  CLEMENTE REBORAA.jpg (video)

 

Voce di vedetta morta

C'è un corpo in poltiglia
Con crespe di faccia, affiorante
Sul lezzo dell'aria sbranata.
Frode la terra.
Forsennato non piango:
Affar di chi può, e del fango.
Però se ritorni
Tu uomo, di guerra
A chi ignora non dire;
Non dire la cosa, ove l'uomo
E la vita s'intendono ancora.
Ma afferra la donna
Una notte, dopo un gorgo di baci,
Se tornare potrai;
Sòffiale che nulla del mondo
Redimerà ciò ch'è perso
Di noi, i putrefatti di qui;
Stringile il cuore a strozzarla:
E se t'ama, lo capirai nella vita
Più tardi, o giammai.

 

da Poesie Varie

 


TESI-ALBUM E PENNA.jpg    Clemente  Rebora - biografia

 

Clemente Rebora - il grande poeta innamoratosi di Cristo crocifisso - nasce a Milano, nel 1885, da una laicissima famiglia di origine genovese: il padre, che era stato con Garibaldi a Mentana, tiene il ragazzo lontano dall'esperienza religiosa e lo educa agli ideali mazziniani e progressisti, tanto in voga fra la borghesia ambrosiana del tempo.

Dopo il liceo, il giovane frequenta medicina per un anno a Pavia, ma non è questa la sua strada. Passa a Lettere: l'accademia scientifico letteraria di Milano - presso la quale si laurea - era un ambiente pieno di fervore creativo. Rebora incontra condiscepoli di grande ingegno, con i quali intrattiene appassionanti conversazioni.

Intraprende poi l'attività d'insegnante. La scuola è per lui luogo d'educazione integrale, per formare uomini pronti a cambiare la società; e proprio con articoli di argomento pedagogico comincia a collaborare a "La Voce", la prestigiosa rivista fiorentina.

Come quaderno de "La Voce" esce nel 1913 la sua opera prima: i Frammenti lirici. Il successo è immediato.

Alla fine di quello stesso anno conosce Lidya Natus, un'artista ebrea russa: nasce fra loro un affetto che li lega fino al 1919.

Allo scoppio della prima guerra mondiale Rebora è sul fronte del Carso: sergente, poi ufficiale. Ferito alla tempia dallo scoppio di un granata, ne rimane segnato soprattutto a livello psicologico (i biografi parlano di «nevrosi da trauma»).

Nell'immediato dopoguerra torna all'insegnamento, optando per le scuole serali, frequentate da operai: da quel popolo semplice che egli, con slancio umanitario, ama.

Si autoimpone un regime di vita molto austero, devolvendo gran parte dello stipendio ai poveri e spesso ospitandoli in casa. Appare a molti come una specie di santo laico, ma in realtà, «l'ignorato Battesimo operando», egli è sempre più affascinato dalla religione. Lo si evince anche dai Canti anonimi: il suo secondo libro di poesia, del 1922.

Nella stessa direzione va la sua iniziativa editoriale: I sedici Libretti di vita attraverso cui divulga opere di mistica occidentale e orientale (e su tali argomenti è anche apprezzato conferenziere).

Sono questi, diversi segnali che preludono all'approdo: la conversione al cattolicesimo, nel 1929. Decisiva è per lui la figura dei cardinal Schuster, da cui riceve il sacramento della Cresima. Rebora adesso capisce che la via alla totalità passa attraverso la sequela di un carisma particolare: nel suo caso è quello rosminiano, con il «voto di annullamento» - perdersi per ritrovarsi -, con la mistica prospettiva di «patire e morire oscuramente scomparendo polverizzato nell'amore di Dio».

Nel Curriculum vitae il poeta, ormai anziano, ricorderà Rosmini come il maestro cui filialmente si era affidato, forma attraverso la quale la novità di Cristo aveva investito e cambiato la sua persona:

 

E fui dal ciel fidato a quel sapiente

che sommo genio s'annientò nel Cristo

onde Sua virtù tutto innovasse.

Dalla perfetta Regola ordinato,

l'ossa slogate trovaron lor posto:

scoprì l'intelligenza il primo dono:

come luce per l'occhio operò il Verbo,

quasi aria al respiro il Suo perdono.

 

La vita di Rebora può procedere ormai con passo sicuro: nel 1931 entra come novizio nell'Istituto rosminiano di Domodossola, nel '33 emette la professione religiosa, nel '36 è' ordinato sacerdote. Per un ventennio don Clemente spende le proprie energie in mezzo a poveri, malati, prostitute. Colui che camminando tra le tante parole (magari poetiche) si era imbattuto nel Verbo che si è fatto carne, ora non ha più bisogno di scrivere: la parola fa spazio all'azione di carità. Solo negli ultimi anni di vita, malato nella carne, tornerà alla parola poetica: Curriculum vitae, autobiografia in versi, del 1955; Canti dell'infermità, del 1957, l'anno della morte di Rebora.


 

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SITO UFFICIALE :

 

http://www.letteratura.it/rebora/

 

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