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Soprannominato Gabo (Aracataca, 6 marzo 1927 – è deceduto, in data 17 aprile 2014 nella sua casa in Città del Messico.
Scrittore e giornalista di origine colombiana,, tra i suoi romanzi più famosi: Cent'anni di solitudine, l'amore al tempo del colera, foglie morte, cronaca di una morte annunciata.
Insignito, nel 1982, del Premio Nobel per la letteratura - ha collaborato anche con noti registi per l'ideazione di film e documentari -.
aminamndi. redazione - un saluto a Gabriel G.Marquez
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tratto da "Cent'anni di solitudine":
(...)
Quando era solo José Arcadio Buendia si consolava col sogno delle stanze infinite. Sognava di alzarsi dal letto, di aprire la porta di passare in un'altra stanza uguale, con lo stesso letto dal capezzale di ferro battuto, la stessa poltrona di vimini e lo stesso quadretto della Vergine de los Remdios sulla parete in fondo. Da quella stanza passava in un'altra stanza esattamente uguale, poi apriva una porta ed entrava ancora in un'altra stanza esattamente uguale, e poi un 'altra esattamente uguale, fino all'infinito. Gli piaceva andarsene di stanza in stanza, come in una galleria a specchi paralleli, finché Prudencio Aguilar gli toccava la spalla.
Allora tornava di stanza in stanza, svegliandosi a ritroso, percorrendo la strada inversa, e trovava Prudencio Aguilar nella stanza della realtà. Ma una notte, due settimane dopo averlo riportato a letto, Prudencio Aguilar gli toccò la spalla in una stanza intermedia, e lui rimase li per sempre, convinto di trovarsi nella stanza vera. Il mattino dopo Ursula gli stava portando la colazione quando vide un uomo venirle incontro nel portico.
Era piccolo e massiccio, vestito di panno nero e con un cappello pure nero, enorme , calcato fin sugli occhi taciturni. "Dio mio" pensò Ursula "avrei giurato che era Melquiades". Era Cataure, invece, il fratello di Visitacion, che aveva abbandonato la casa fuggendo la peste dell'insonnia, e del quale non si era saputo più nulla. Visitacion gli chiese perché fosse tornato, e lui le rispose nel suo linguaggio solenne: "sono venuto al funerale del re".
Allora entrarono nella stanza di José Arcadio Buendia, lo scossero con tutte le loro forze, gli gridarono nell'orecchio, gli misero uno specchio davanti alle narici, ma non riuscirono a svegliarlo. Poco dopo, quando il falegname gli prendeva le misure per la bara, videro attraverso la finestra che stava cadendo una pioggerella di minuscoli fiori gialli. Caddero per tutta la notte sul villaggio in una tormenta silenziosa, e coprirono i tetti e ostruirono le porte, e soffocarono gli animali che dormivano all'aperto. Tanti fiori caddero dal cielo, che al mattino le strade erano tappezzate di una coltre compatta, e dovettero sgombrarle con pale e rastrelli perché potesse passare il funerale.
Gabriel Garcia Márquez - Cent'anni di solitudine, - edizione I Meridiani casa editrice Mondadori - pag. 704-705.
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