martedì 19 marzo 2024   ::  
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VALENTINA DE SAINT POINT - IN APPUNTO


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Poetessa del futurismo Valentine de Saint-Point

di A.Saccoccio

Valentine De Saint Point visse un secolo fa (1875-1953). Si chiamava Valentine de Saint-Point ed era pronipote di Alphonse de Lamartine. Come tutte le figure davvero geniali, ha dovuto subire l’incomprensione della maggioranza dei suoi lettori. E d’altra parte per chi ha grande talento è la storia successiva a decidere la sua visibilità: nelle epoche in cui le tue idee coincindono con quelle dominanti sei consideratissimo e studiatissimo, in caso contrario sei volutamente oscurato perché rappresenti la voce in grado di mettere in crisi il potere. A Valentine, finora, è toccata questa sorte. Spirito autenticamente libero, figura di primissimo piano dell’avanguardia del primo Novecento, si dedicò alla poesia, alla narrativa, alla pittura, alla danza. Le sue idee erano dinamite per il suo tempo. Oggi lo sono ancora. Per questo viene praticamente ignorata. Fa paura, Valentine. Anche oggi. Conosciuta ai suoi tempi soprattutto per il celebre Manifesto della donna futurista (1912) e per il successivo Manifesto futurista della lussuria (1913), ha scritto testi di notevole intensità e creativa.

Qui voglio proporvi un passo praticamente sconosciuto, tratto da un suo testo meno noto, il Teatro della donna (1912). Tralasciando le acute considerazioni sul ruolo della donna nei testi teatrali, vi riporto alcune riflessioni generali di Valentine sulla donna. Sono idee di una lucidità invidiabile e di una brillantezza ancor oggi inarrivata. E sono passati quasi 100 anni. Intuire la doppia natura delle femministe non era certo al suo tempo semplice come lo è ora. E poi le sue osservazioni sull’eroismo e sullo spirito di abnegazione della donna, e sul suo ruolo di creatrice di vita e di anime meriterebbero di essere in testa a qualsiasi pubblicazione femminile e femminista. Ecco Valentine.

“Eppure la nostra è un’epoca che vede trionfare il femminismo, con i suoi orrori e la sua bellezza. Accanto alle donne sprovviste di ogni grazia, che – per acquisire diritti che le altre hanno in pratica sempre posseduto -, copiando l’uomo, si sono virilizzate al punto di perdere tutte le loro essenziali qualità femminili, altre donne, che sono belle o semplicemente dotate di un’intelligenza più vasta, hanno acquisito una maggiore indipendenza di spirito e di vita, un gusto per lo sforzo personale e per un’attività in armonia con la grazia e la fatalità del loro essere, che le libera da ogni tutela e da ogni forzata irreggimentazione. La giovane donna di oggi è, almeno nelle sue affermazioni e nella sua apparenza, ben diversa dalla giovane donna di quarant’anni fa. Dico: nelle sue affermazioni e nella sua apparenza, perché è del tutto certo che la psiche della donna, nei suoi tratti fondamentali, rimane più o meno immutabile attraverso i secoli e le epoche. Le sue virtù restano le stesse, ma, a seconda dei tempi, vengono mascherate d’ipocrisia, tenute a freno o lasciate libere di manifestarsi. Ai nostri giorni le virtù femminili possono sbocciare liberamente; la donna più libera non si accontenta più delle antiche apparenze che ce la mostravano, a seconda della situazione sociale, come casalinga compiacente e silenziosa, o come fascinoso oggetto di lusso, ma senza slancio, senza durevole volontà; passiva, rassegnata ad un compito meccanico di consolazione e di piacere, soggiogata all’unico protagonista attivo della vita: il maschio. Ella  afferma liberamente la propria volontà di dominio, più o meno forte secondo il suo carattere, il suo orgoglio di espiratrice, di educatrice e a volte anche di creatrice: essa proclama la propria coscienza, di cui regola i moti con maggiore o minore eleganza, ma che comunque rivendica. […] Platone assegnava alla donna tre qualità essenziali: la grazia, la pietà, l’intùito. Nella nostra concezione moderna, ancora embrionale, della vita, pietà significa, più precisamente, riconoscere ad ogni creatura il diritto alla vita, diritto che diventa il più semplice e il più grande dovere umano, comune a tutti.

Ma con la grazia dell’intùito, e con altre virtù che le sono proprie, quali la tenacia paziente e scaltra, l’abnegazione verso l’amante e il bambino, l’eroismo modesto nel dolore fisico e morale, tutto ciò di cui è fatta la maternità, che si estende dal bambino all’uomo – poiché questi rimane per tutta la vita il bimbo della donna, e in ogni amore di donna vi è maternità -, la donna è stata e resterà colei che crea, che domina, che esalta, e che, incoraggiandone le ambizioni, rafforza la volontà di vivere degli uomini, e dal suo ruolo di creatrice di corpi si eleva fino alla capacità di produrre anime”

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