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   BORIS    P A H O R


 

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(opera di Fabio  Mauri/archivio aminAMundi/di Miriam Binda) 


Boris è’ nato e ha vissuto quasi sempre, nella città di Trieste, alla cui letteratura fa onore, come a quella italiana europea e mondiale. Pahor è sloveno e scrive in sloveno. Il suo libro più noto, Necropolis, romanzo scritto quarant’anni fa, ma fino al 2005 mai tradotto in italiano, è una delle opere più alte e più impressionanti sui campi di concentramento nazisti. Pahor, oppositore del regime fascista e nazista che lo deportò nei peggiori lager di sterminio, è autore di numerosi romanzi, libri di racconti, saggi, è stato attivo come insegnante, giornalista e lo è tutt’oggi come difensore delle culture e delle lingue di minoranza, e come Presidente della fondazione in protezione di queste, con sede a Bruxelles.

Negli anni cinquanta, diventa il redattore principale della rivista triestina Zaliv (Golfo) che si occupa, oltre a temi strettamente letterari, anche di questioni di attualità. In questo periodo, Pahor continua a mantenere stretti rapporti con Edvard Kocbek, ormai diventato un dissidente nel regime comunista jugoslavo. I due sono legati da uno stretto rapporto di amicizia. Nel 1975, Pahor pubblica, assieme all'amico triestino Alojz Rebula, il libro "Edvard Kocbek: testimone della nostra epoca" (Edvard Kocbek: pričevalec našega časa). Nel libro-intervista, pubblicato a Trieste, il poeta sloveno denuncia il massacro di 12.000 prigionieri di guerra, appartenenti alla milizia anti-comunista slovena (domobranci), perpetrato dal regime comunista jugoslavo nel maggio del 1945. Il libro provoca durissime reazioni da parte del governo jugoslavo. Le opere di Pahor vengono proibite nella Repubblica Socialista di Slovenia e a Pahor viene vietato l'ingresso in Jugoslavia. Grazie alla sua posizione morale ed estetica, Pahor diventa uno dei più importanti punti di riferimento per la giovane generazione di letterati sloveni, a cominciare da Drago Jančar. L'opera più nota di Pahor è Necropoli (traduzione in italiano di Ezio Martin, Fazi Editore 2008). un romanzo autobiografico sulla sua prigionia a Natzweiler-Struthof. Le sue opere sono tradotte in francese, tedesco, serbo-croato, ungherese, inglese, spagnolo, italiano, catalano e finlandese. Nel maggio del 2007 è stato insignito con la onorificenza francese della Legion d'onore, il Premio Prešeren, maggiore onorificenza slovena nel campo culturale (1992) e il San Giusto d'Oro 2003: Onoreficenza francese della Legion d'onore 2007 - Primo premio Viareggio 2008.

Boris Pahor vive e lavora a Trieste.

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26 agosto 2013

lo scrittore Boris Pahor compie oggi  100 anni.

Per questa occasione, pochi giorni fa, il sindaco di Trieste gli ha consegnato la civica benemerenza.

Boris Pahor viene ancora percepito come un bardo della slovenità, uno che al di là della qualità letteraria delle sue opere, è riuscito a portare la Slovenia, le sofferenze ed i traumi di un popolo, sulla scena internazionale. Oggi è lo scrittore sloveno più tradotto e più celebre all’estero. Attualmente è addirittura più conosciuto, al grande pubblico, del poeta romantico France Prešeren, considerato la pietra miliare della letteratura slovena moderna.

 Il suo ultimo libro,  pubblicato nel 2013: Così ho vissuto, Biografia di un secolo

collana  Overlook - Bompiani editore


P U B  L I C A Z  I O N I   recenti


2010 /frammenti selezionati: Zalivi: čitanka 

2010/ Sončna ura - la corrispondenza con Marija Žagar; cura di Urška Perenič


 

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Così ho vissuto, biografia di un secolo

anno: 2013

edito: Bompiani editore (collana overlook)

Il Novecento è il secolo di Pahor: ne ha vissuto gli orrori e le conquiste, facendosene testimone per eccellenza. Il racconto della sua esperienza esistenziale è dunque una narrazione etica e viva, densa di avvenimenti e aneddoti che seguono un tracciato cronologico mai banale o scontato. La sua biografia si sviluppa attraverso questo racconto, reso da Pahor in prima persona, contestualizzato da Tatjana Rojc e compiuto nelle pagine, anche inedite, di uno dei più grandi scrittori sloveni viventi. Non si tratta solo di una biografia ma anche di una storia di Trieste,

 

pahor

 

 

 

 

 

Qui è proibito parlare 

Fazi editore  (2009) 

Ema e Danilo, i suoi personaggi, che, come il loro autore, vivono a Trieste ma sono di nazionalità e cultura ardentemente slovene, – siamo alla fine degli anni ’30 del secolo scorso, Hitler invade la Polonia e l’oppressione del regime fascista sulle minoranze linguistiche è particolarmente odiosa e dura – cominciano la loro relazione anche all’insegna di un comune senso di ribellione, prima di tutto appunto linguistica, vissuta con dolore e rabbia, ma anche con grandi fierezza e coraggio.


 

Necropoli

NECROPOLI   di     P a h o r     Boris 

Fazi Editore  (collana le strade)  2008

Campo di concentramento di Natzweiler-Struhof sui Vosgi. L'uomo che vi arriva, una domenica pomeriggio insieme a un gruppo di turisti, non è un visitatore qualsiasi: è un ex deportato che a distanza di anni è voluto tornare nei luoghi dove era stato internato.  E come fotogrammi di una pellicola, impressa nel corpo e nell'anima, si snodano le infinite vicende che parlano di un orrore che in nessun modo si riesce a spiegare, ma insieme i tanti episodi di solidarietà tra prigionieri, di una umanità mai del tutto sconfitta, di un desiderio di vivere che neanche in circostanze così drammatiche si è mai perso completamente.  (primo I premio Viareggio 2008)

 «Un libro sconvolgente, la visita a un campo della morte e il riaffiorare di immagini intollerabili descritte con una precisione allucinata e una eccezionale finezza di analisi». (Le Monde)

«Un memoir indimenticabile ed evocativo. Con la sua voce intensa e originale Pahor penetra nel cuore dei lettori e li conduce nel luogo dove perse la maggior parte dei suoi compagni e molto di sé». (Kirkus Review)

 

 

Il petalo giallo

IL PETALO GIALLO  di  Boris Pahor   

Editore:  Zandonai  (collana i piccoli fuochi)  2007

Un maturo scrittore sloveno, reduce dai campi di concentramento nazisti, e una giovane psicoterapeuta che vive a Parigi, la cui infanzia è stata funestata da una nascosta, ma non meno devastante, violenza familiare. Tra i due nasce improvvisa e quasi per caso una relazione intima, nutrita di un fitto scambio epistolare e di sporadici quanto intensi incontri, una relazione legata a un mistero che via via si dirada andando a descrivere un tragico percorso comune. E solo nella silenziosa profondità dell'amore i loro corpi, segnati da un destino di violazioni e abusi, sapranno ritrovare equilibrio e fiducia, perché la risposta alla violenza subita, prima di essere un atto di intelligenza, è un atto d'amore.


ESTRATTO INTERVISTA

di Mary Tolusso    

Pasolini scriveva che per essere poeti bisogna avere molto tempo. Chiedo a lei: per essere narratori invece cosa occorre?
«Bisogna aver vissuto e avere qualcosa da raccontare. Lo scrittore deve narrare l’esistere rispetto alla verità storica e alla verità umana della sua epoca».
Posto che «Necropoli» sia il suo libro più famoso, con quale altro dei suoi romanzi ha un rapporto di altrettanta intimità?
«Sono due romanzi già editi in Francia e di prossima pubblicazione in Italia. “Il fischio della sirena” racconta di una povera ragazza slovena reclusa con le prostitute. Anche in questa storia si parla di resistenza e di organizzazione clandestina. Ma forse il libro che sento molto vicino è “Primavera difficile”, dovrebbe uscire quest’anno per i tipi della Zandonai, ha un taglio autobiografico: il protagonista si salva dal campo di concentramento e ritorna alla vita grazie all’amore. In Italia è già un po’ conosciuto grazie al professor Elvio Guagnini che l’ha presentato anche qui a Trieste. Molte sono le persone che mi hanno sostenuto e se possibile vorrei ricordare anche Ferruccio Fölkel, Fabio Cusin, Alessandro Mezzena Lona, Paolo Rumiz».
Quali regali si aspetta per i suoi 95 anni e quali regali sa che non giungeranno anche se ci terrebbe moltissimo?
«Non attendo alcun regalo, non è nella mia natura. Ma ecco, forse vorrei questo: scrivere cento pagine sulla Trieste della mia gioventù, mi piacerebbe sintetizzare l’ambiente delle novelle de “Il rogo nel porto” in un’unica opera, non so però se mi riuscirà, a questo dono ci terrei molto».
E questo terzo millennio?
«Avrebbe bisogno di menti sagge che riescano a riscattare la nostra vita dalla violenza, ma sono scettico. Temo che se continueremo a seguire gli Stati Uniti, se continueremo a sostenere una democrazia imposta con la violenza, c’è poco da aver fiducia. E lo stesso vale per l’Est e per la grande incognita della Cina. Non sono difensore di nessuna autorità, continuo a sperare, ma ho paura che stenti a decollare una saggezza universale».
Sandor Márai ha scritto che si è davvero vecchi quando restano solo i ricordi e la vanità di tutte le cose. Quando si invecchia?
«Si è vecchi quando non si spera più, quando non percepiamo più la possibilità di creare un cambiamento per un futuro migliore».
Insomma, il suo sarà un bellissimo e giovane compleanno...
«Fin che potrò voglio difendere coloro che cercano di trovare in qualche maniera una via d’uscita dal dolore, da quello che è stata la loro vita. E la vita, per molti, è stata la distruzione del corpo umano, come se fosse carta straccia, polvere, spazzatura. Bisogna continuare a combattere contro l’annichilimento, è necessario avere rispetto del corpo altrui».

(25 agosto 2008)  

dal quotidiano  "IL PICCOLO"  di Trieste.


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