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LE IRIDESCENZE DEL VERSO
nella poesia di Miriam Luigia Binda
da Improvviso profondo....silloge edita da Helicon /Arezzo
a cura: Prof. Rodolfo Tommasi
Sorprendente, affascinante e culturalmente granitico è il panorama di prospettive terminologiche che viene a confluire nei versi di Miriam Luigia Binda, prospettive e angolature entro le quali
ogni supposizione e presupposizione di 'tempo poetico', dalla spinta emotiva di una genesi di dettato all'energia psichica della sua elaborata e continua rinascita verbale, si trasforma subito in
spazio abitato dalla perentoria presenza della parola.
L'autrice prosciuga l'humus convenzionale dell'evocazione, ossia toglie all'atto evocativo connaturato alla scrittura l'aspetto più diretto e immediato della suggestione, quello che ognuno saprebbe prevedere, per creare un altro genere di coinvolgimento, inedito e fortemente incisivo, basato su una radicale rifondazione dell'immagine in una nuova sintassi del mito iconico/letterario, vale a dire su una progettuale, inconsueta e inattesa finalità di sostanza comunicativa da immettere nel potere espressivo del significante - e, di conseguenza, del segno, del vocabolo raggiunto e accettato, con naturalità di articolazione dialettica, valutando gli spessori lessicali delle sue reali e possibili valenze.
Accade, nelle variegate offerte dalla filigrana semica della scrittura, che il vocabolo si materializzi, si incarni in un personaggio, come nel caso di quel geniale cuneo immesso nell'opera (quasi un lieve riverbero del mondo romanzesco di Grass), tra narrazione e teatro, Il prestigiatore ed il pagliaccio: allora la metafora giunge ad assumere finanche una luminescenza allegorica
oltremodo diramata.
E' assai raro incontrare - soprattutto oggi, fase epocale dell'esternazione misurata sui modi di un approssimativo 'parlato' - tanta densità d'accento, tale rischiosa sporgenza sui territori del lirismo visionario ("ciglia di fango d'alga"): eppure è proprio dai vortici formatisi intorno alla parola e all'interno di essa, lontana dal temere e temersi, che si forma l'unicità di questo linguaggio, di questa poesia dalla semantica invasiva e sismica, di questi versi abbaglianti per cromatismi pressoché sconosciuti e improvvise profondità di luce. Vi è, inoltre, sia pure non costante (poiché diverrebbe schema, e qui gli schemi sono, deo gratias, estranei, ignorati), ma frequente, la vibrazione della corda d'apparenza burlesca, dello scarto di registro, la stimolazione di un nervo ambiguo nell'impianto tonale: gioco o dramma, coreutica o affanno, diversione o implicazione: sono giusto gli opposti mai del tutto 'opposti' a nutrire l'enunciato oscillante tra due poli dialoganti e complementari. Il codice universale della poesia - ancora sottintende la Binda - non ammette nitori funzionali a distinguere l'uno dall'altro gli elementi compenetrabili (sarebbe come voler dare senso univoco allo splendido distico conclusivo in Pinocchio, come voler togliere l'ombra in cui tace e a suo modo si cela La cerva rumena, come voler sciogliere i nodi temporali in Cheope o in Fiore nel fango).
Questa poesia è magica nel saper porre in un immanente primo piano la lontananza, e nello sfumare, quasi in ruolo di sfondo, l'incombere di quanto è o sarebbe invece subito visibile.
La verità del troppo palese, delle presunte certezze, delle referenze assolutizzate secondo una logica corrente e imposta, può essere sospetta, in odore di equivoco: è una teoria da desumere, sempre sottesa ad altra logica, quella dell'autenticità poetica, e qui passaporto di legittimazione per deragliare dal binario della cosiddetta logica matematica, adottabile per vivere e comunicare (nel quotidiano), non per esistere (nella poesia).
Si tratta, comunque, di una lontananza non solo fisica; anzi, decisamente concettuale, in cui assume valore imprescindibile quella peculiarità di linguaggio capace di assemblare in sé, in nodi di sostenute e tenaci coerenze, allusioni arcaiche, lampi di classicismo, scudisciate provocatorie di modernissimo oltranzismo, panneggi misterici, pulviscoli di arcani formulari, rapidi passaggi di presenze fantastiche, linfe vitali smaglianti e baluginanti di fisionomie d'oltretomba,
guizzi di spirito epigrammatico e morbide ellissi di lentezza elegiaca.
Non riesco a immaginare - se davvero si vuole collocare le seguenti pagine in una plaga letteraria di indicabile ascendenza - una maggiormente persuasiva testimonianza orfica; ma anche simile definizione (modale, stilistica) non basta, è carente, non colma né l'idea né il gettito delle sollecitazioni emanate da una nozione di poesia dove tutto, ogni dato, ogni istanza, ogni figura, è in un medesimo tempo realtà e iridescente riflesso di sé, e di sé proiezione, ferita, memoria, traccia, simbolo, metamorfosi.
(poesie di Miriam L. Binda tratte da Improvviso profondo..../edizioni Helicon)
Fiore nel fango
Il vento di maggio
agita l’erba
un fiore bianco
in un prato di stelle.....
Non c’era vento e faceva caldo
sulla strada pareva luglio
invece era giorno di maggio.
La primavera era arrivata
come il ragazzo
voleva tornare a casa
per mostrare i suoi gioielli.
Erano piccoli ma lui aveva solo quelli
a sua madre potevano bastare
per sfamare la sua bocca
e di altre creature
cinque figli
pieni di lacrime e tanta fame.
A dieci anni il ragazzo
mesciò sangue con il vino
lo vide fare da bambino
quando suo padre tornava
con la bottiglia vuota
sotto il braccio tagliato da cento aghi
caduti come vetri rotti
negli occhi ciechi di sua madre
che non volevano guardare avanti.
Suo padre era ancora vivo o puzzava
come un morto?
Al ragazzo non importava
voleva solo prendere il suo posto
mesciò il seme con l’asfalto
e una notte, sulla strada, finse di essere altro.
La luna di maggio sospesa sui lampioni
all’umida stazione brandiva figure inquiete
mostrò così un notturno giardiniere
celato dal sipario oscuro di una città silente
con due grosse forbici in mano
tagliò sulla strada il ragazzo
e come fiore di campo
lo gettò a marcire nel fango.
Il vento sentì un lamento uscire dallo stelo
di quel fiore acerbo e maledetto
mai nato in una calda notte
d’un giorno qualsiasi di maggio.
lo portò con se, per sempre, in un prato di stelle….
Il presente contenuto pubblicato su aminAMundi
su concessione dell'autore e della casa editrice /tratto da Improvviso profondo...Casa Editrice Helicon - Arezzo
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