note di - Plinio Perilli
Tra gli eterni miti giovanili d'ogni Contemporaneità, c'è e ci sarà sempre quello della poesia.
E non parliamo degli andanti, contingenti ed effimeri "Miti d'oggi" annotati e stigmatizzati dall'acuto smontaggio semiologico d'un Roland Barthes.....
Dalle emotive auto-confessioni liriche di Saffo a Catullo (il suo modernissimo "odi et amo"), ai precisi, nostalgici e meditati intenti leopardiani:
"Da Principio il mio forse era la fantasia, e i miei versi erano pieni d'immagini, e dalle mie lettere poetiche io cercavo sempre di profittare riguardo alla immaginazione (...) Così si può ben dire che in rigor di termini, poeti non erano se non gli antichi, e non sono ora se non i fanciulli, o giovinetti, e i moderni che hanno questo nome, non sono altro che filosofi. Ed io infatti non divenni sentimentale, se non quando perduta la fantasia divenni insensibile alla natura, e tutto dedito alla ragione e al vero, in somma filosofo."
Il bivio - ha ragione Leopardi - non è solo concettuale, teoretico; bensì, essenzialmente creativo; e alla fin fine, si riflette, eccome, negli stessi esiti creativi, concerne il medesimo stile espressivo....Fantasia o Sentimento? Giacchè arduo è meditarli, trasferendoli come ben pochi artisti giungono a fare.
Interrogarsi sulla poesia, è dunque la prima connaturata professione intellettuale d'ogni ancor giovane poeta, se autore vero, consapevole e autocritico. Consapevole o, comunque alla ricerca di reale introspezione, altruista.
Eliot, nel suo saggio del 1933 su "Lo spirito moderno", traccia una storia sintetica ma esauriente di ciò che chiama il "progresso d'autocoscienza" nella poesia e nella critica. Chi sa quando veramente scocca, s'accende quello che PasternaK, nella sua autobiografia, narrando gli anni e le prime ricerche giovanili, battezza come il "lavoro della coscienza?"
Tutta la storia moderna della poesia, ha insomma testimoniato di continuo questa dedizione, insieme formale e sostanziale, della giovinezza come età, sentimento, condizione generazionale, verso l'adolescenza poetica, la primigenia stagione dell'esordio letterario, della scoperta meravigliosa e turbata della Parola, cui ogni nuovo, iniziato adepto costruisce un suo piccolo, ereditato ma profetico simulacro - specchio di un nuovo pensiero in atto, dramma o incanto da viversi, sentimento, anima semichiusa -.
Di certo la poesia non s'insegna; ma si possono aiutare i ragazzi più talentuosi a diventare ciò che già sono, dei giovanissimi poeti in erba. Giorge Izambard, il giovane professore di francese del futuro "veggente" delle Illuminazioni, ne divenne confidente, gli faceva leggere Villon, Rabelais, Hugo, Baudelarie, Lecomte de Lisle, Verlaine; Rimbaud ancora viveva a Charleville, nell'avulso torbido malessere della provincia; e quando nel maggio del 1870 spedirà tre sue poesia a Théodore de Banville, nel tentativo d'essere pubblicato nel "Parnasse contemporain", lui pur così risoluto e geneticamente ribelle, non esita nella lettera che accompagna i suoi versi a chiedere aiuto, e forse più consigli che consensi.
E al di là dell'oceano, Emily Dickinson, una gentildonna ardente del nuovo mondo, meno giovane di Rimbaud, faceva parlare per iscritto i suoi silenzi evoluti. "E' solenne nell'anima, sentirsi maturare! E pendere dorati..."
Eppure quest'ultimo secolo che ancora viviamo, patiamo, sfinito fino a sfinirci, corrotto a turbarci, umilia e schiaccia con sfregio i dolci frutti d'ogni coltivata maturazione o autoeducazione interiore; fa bene a ricordarlo un sempre e più inquieto, saggio Ceronetti:
"Das Menschenmaterial; questo siamo diventati, 1914, parola nata allora, e questo siamo niente altro che neutro -materiale umano- più che mai adesso"....
Ma Rainer Maria Rilke, che ha nel 1914 trentanove anni, raggiunge in realtà proprio in quegli anni le vette delle sua ispirazione; il sublime ascendente scavo lirico delle Elegie di Duino, va dal 1911 al 1923, anno d'uscita dei diamantini, rarefatti e fulgidi Sonetti a Orfeo.
Che dunque l'antidoto a tutti i mali o i malesseri storici resti sempre la Poesia?
Ogni poesia giovane, impaziente e impennata nella propria, rivendicata o rinnegata contemporaneità - rivoluzione di sillabe, resistenza dell'anima, dolente entusiasmo - s'avvicenda dolcemente, disperata, anarchica e insieme fedele a un fuoco sacro, a un' interiorità vittoriosa, che, in età in età, mai più ancora potrà spegnersi, di generazione in generazione memorabile per spiritualità o dannazione, scommessa e talento irripetibili.
Il sogno baciato di Mallarmé (la serena ironia dell'eterno azzurro opprime...") l'anima grande evocata da Valéry, che spera ("un sogno che non avrà i colori di menzogna") la poesia ininterrotta di Eluard ("Primavera infine è l'alba")....
Giovinezza poetica e poesia d'una Giovinezza che è anzitutto categoria dello spirito, rivendicazione d'indipendenza e innovazione, anche stilistica, coraggio e franchezza, ardimento e rischio letterario.
E' il "libero slancio" di Apollinaire "l'uomo era tutta la mia giovinezza! E l'altro era l'avvenire. Con rabbia si combattevano contro Lucifero, così fece l'Arcangelo dalle ali radiose...."
sono le meditazioni liriche di Eliot; "il tempo presente e il tempo passato. Sono forse presenti entrambi nel tempo futuro. E il tempo futuro è contenuto nel tempo passato. Se tutto il tempo è eternamente presente. Tutto il tempo è irredimibile"...Sarà ancora, il delirio affabulato di Dylan Thomas "il tempo partorisce un altro figlio. Morte al tempo! Si torce nel suo dolore! La quercia è abbattuta nella ghianda"....;
l'ellenicità demistificata di Giorgio Seferis "l'anima che combatte per farsi anima tua", fino ai giorni nostri, a un'arte vista come "l'atto pubblico cui partono tutte quelle strade fangose" come scrive Robert Creeley, poeta americano della generazione del 1926 (la stessa di Ginsberg, e più o meno di Corso, Kerouac & Co.) che studia l'oggettività della parola poetica sino a restituirci i suoi versi, tormentati e incisivi, come pure "cose della realtà."....
Nel '900, Kavafis celebra nel "il primo scalino" l'istante decisivo dell'iniziazione poetica, filtrato attraverso un colloquio ideale tra Teocrito e il giovane poeta Eumene:
"di stare sul primo scalino/considerati orgoglioso e felice,/ciò che hai raggiunto non è poco/ciò che hai fatto va a tuo vanto./Sappi che questo primo scalino/avanza di molto la gente comune/che per salire anche questo gradino/ si deve essere di pieno diritto/cittadini della città delle idee"
D'altronde, come sottolinea Adriano Marchetti nell'edizione dei Consigli, per la Marietti "l'arte poetica è un topos della Retorica"; ecco che quella di Jacob, partita dalla forte ipoteca insieme Classica e Moderna, sfocia in una struggente intellettualistica satira; "nel significato" soggiunge Marchetti :
"di miscuglio e contaminazione calcolata di elementi eterogenei che solo la coerenza di principi unifica; è il legame tra la concezione e l'esecuzione, il programma teorico-pratico e la difesa euforica, eufonica dell'Esprit Nouveau"....
Mai però forse come con Rilke - il Rilke delle Lettere a un giovane poeta - la purezza trionfa in luce meridiana e altissima, e una insinuante, serena assolutezza lirica, s'evince dal pensiero - ma libera, emancipata da ogni teoria o peso, sia critico che storiografico - e profondamente ci ammaestra, mentre lo stesso Rilke proclama in fondo la poesia tutta, allieva della poesia, cioè della vita, della sensibilità quotidiana:
"Voi siete così giovane, così nuovo al cospetto delle cose, che vorrei pregarvi quando posso di essere paziente di fronte a tutto quello che non è risolto nel vostro cuore. Sforzatevi di amare i vostri stessi problemi, ciascuno come una camera che vi fosse chiusa, come un libro scritto in una lingua straniera. Non cercate per il momento delle risposte, che non possono esservi date, perchè non sapreste metterle in pratica, -viverle. E precisamente si tratta di viverle tutte"..
Sono di appena dieci epistole, fulgide, care, affettuose, scritte da Rilke, fra il 1902 e il 1908 a Franx Zaver Kappus, un giovane allievo della stessa Accademia Militare di Wiener-Neustadt frequentata anni prima dal grande poeta. Il ragazzo, inviandogli alcune sue fresche, ingenue liriche adolescenziali, gli chiedeva lumi, consigli, direttive insieme artistiche e spirituale. Ne esce una specie di raro vetro soffiato, d'intensissimo laico breviario spirituale e insieme, facile essenziale manualetto estetico d'ogni sincera fede e puro credo letterario.
Accanto ai semplici e affabulanti giudizi sull'arte, s'irradiano una visione e una dedizione all'Amore, fortemente moderni, paritari e illuminati d'un sincero, futuribile auspicio:
" il grande rinnovamento del mondo consisterà senza dubbio in questo; l'uomo e la donna, liberi di tutti i loro errori, di tutte le loro difficoltà, non si cercheranno più come degli opposti....Essi uniranno le loro umanità per sopportarle insieme"...
Giaime Pintor, insieme con Vincenzo Errante uno dei suoi primi e più felici traduttori, sottolinea in Rilke, ben al di là dell'incarnazione nobile e consacrata d'un qual certo estetismo, proprio il suo inesausto porsi "oltre i limiti dell'arte"; doveva privarsi negli anni di ogni più facile motivo di ricchezza. Così da trattenere per sé appena una materia dura, opaca, sicuramente posseduta.
E Alberto Destro, sviscerando il sommo abbacinamento enigmatico delle Elegie di Duino, precisa il senso e la dirittura del suo messaggio lirico, che si fa unica, caparbia alternativa ancestrale:
"la risposta all'esigenza esistenziale e psicologica è data in termini estetici. La poesia costituisce la soluzione del problema vitale. le cose "interiorizzate"mediate il "dire" della poesia costituiscono l'esigua strisca di terreno in cui può allignare l'umano".
Nel saggio "Idea ed evento", tutto centrato su un'interpretazione del 1900 come divisibile in due grandi fasi storiche. la prima idealista e la seconda teleologicamente indirizzata, finalizzata, appunto, all'accadimento irrefutabile, al manifestarsi avverato - Mario Luzi esalta, in quella primigenia stagione, proprio:
"un idea del mondo, intesa come sintesi aprioristica del suo valore";
ecco mi lascio sedurre dalla voce di Rilke, dalla sua elegia e profezia tutte interiori nelle quali il mutato rapporto tra la mente umana e l'oggetto della conoscenza è dato al positivo, in una visione di umanesimo futuro (il destino dell'uomo è umanizzare il mondo, infatti). Ma forse Rilke è l'unico dei grandi poeti dell'epoca per cui l'idea del mondo non sia solo una rovina o un cumulo di frantumi, ma un'energia suscettibile di metamorfosi, dolorosa e faticosa, certo ma evolutiva e ricca di acquisizioni.
Scrivendo al giovane poeta che in fondo gli chiudeva come una formula certa, un teorema esatto, una perfetta equazione fa anima ed esistenza, forma e contenuto, amore e dolore, sogno e vissuto, Rilke ancor più si denuda d'ogni serio, paludato estetismo.
"Essere artisti non vuol dire contare, vuol dire crescere come l'albero che non sollecita la sua linfa, che resiste fiducioso ai grandi venti della primavera, senza temere che l'estate non possa venire (....) Lo imparo tutti i giorni a prezzo di sofferenza che benedico. La pazienza è tutto"...
Rilke, dismette, rinnega aulico un pur fiero status, irride il vanto sterile, l'astruso vellutato, ogni cultura che non s'umili, non s'inginocchi all'Umano. Fra l'arte e il mondo, fra l'oro e il sangue, media ogni palpito, o comunque sceglie sempre e solo il cuore muscolo, lo sguardo secreto e liquido, la linfa d'una vita sacra e giusta in se stessa, fra umori e mucose, baci e doglianze.
" ...Le parole grandi
dei tempi in cui gli eventi erano ancora
visibili, non sono più per noi.
Chi parla di vittorie? Resistere oggi è tutto. "
Plinio Perilli./
aminAMundi luglio 2014