IL SENSO COMUNE e la conoscenza da Locke a Hegel -(note introduttive sul concetto di scienza)
a cura di Sarah Fabriano
Nel Saggio di J. Locke sull'intelletto umano /titolo originale: An Essay Concerning Human Understanding / La tesi centrale è che la mente di un neonato è una tabula rasa; tutte le idee si sviluppano dall'esperienza. Soprattutto nel primo LIbro egli si spinge contro l'innatismo ossia la teoria delle idee innate. Locke ammette che alcune idee sono nella nostra mente dalla nascita, ma argomenta che queste idee sono fornite dai sensi fin dal grembo materno; per cui le persone non hanno ne idee ne principi innati. Questo punto forte del pensiero lockiano è fondato sul fatto che non esistono, verità universali anche le idee che sono garantite dal valore logico non sono innate, esempio i bambini non sono in grado di sentirle. E' soprattutto nel IV libro (dell'Essay) che Locke affronta il problema della conoscenza e dei limiti della mente umana. Locke definisce la conoscenza come ”la percezione delle connessioni e delle idee" ed è ovviamente in contrasto con l'idea chiara e distinta d'origine cartesiana. In breve:
Locke afferma che l'uomo è in grado di conoscere le sostanze, nonostante le nostre idee su di esse sono sempre oscure e relative alla sostanza in generale mai particolare. In rapporto ai limiti ai quali è soggetta la conoscenza umana, alla sua incapacità di abbracciare nessi cognitivi del mondo fisico come per esempio, la causa della coesione delle parti materiali, Locke può fare del senso comune un luogo sprovvisto di strumenti, per la conoscenza, ma per altro fornito di indicazioni sicure per l'orientamento nel corso dell'esperienza quotidiana. (An Essay Concerning Human Understanding- vol 1 - Oxford 1984, pag. 402 - tradotto da C.Pelizzi, Bari 1972)
Il senso comune modellato da Locke non costituisce una fonte autonoma e indipendente di cognizioni. Non fornisce un grado di evidenza che, sia pure entro limiti assai ristretti, costituirebbe nondimeno la condizione cognitiva idonea a promuovere l'azione. Diciamo invece: sulla base e in concomitanza alle esperienza quali si producono e si accumulano nelle circostanze della vita quotidiana si manifestano decisioni, movimenti, azioni da parte degli uomini. Che la decisione sia stata formata, che l'azione sia stata prodotta, questi sono i sintomi del sufficiente orientamento che l'esperienza comune offre alla conservazione della vita umana e dei suoi beni.
Il senso comune per Locke è tutto ciò che non è scienza; quindi è sensazione: odore, sapore, gusto e simili entro nessi di concomitanza empirica che costituiscono guide sicure per l'orientamento pratico.
La scienza fisica corpuscolare del suo tempo, costituisce un modello ideale di sapere, per alto difficilmente praticabile da parte degli uomini per via dei limiti che sono ascritti alle loro facoltà. Ma sarebbe superficiale indagare l'idea del senso comune senza investigare il suo rapporto strategico con il sapere colto e ufficiale. il senso comune è una controparte del sapere scientifico. E non c'è una sola maniera esclusiva in cui la scienza ha intrattenuto rapporti con il senso comune.
Se per un lato il senso comune è una forma di sapere rifiutata e rimossa, per l'altro esso è anche una sostanza malleabile destinata a ricevere le configurazioni impresse dalle strategie di fondazione e di legittimazione del sapere scientifico. I nuclei teorici veri e propri delle ipotesi scientifiche non hanno mai viaggiato da soli ma in compagnia della teologia, della filosofia delle formazioni discorsive tracciate negli spazi dell'immaginazione sociale.
Più o meno inconsciamente rileghiamo nel senso comune i relitti del sapere che vogliamo rimuovere e dei quali intendiamo disfarci. Ma la strategia dell'abbandono e della rimozione non è l'unica a disciplinare i rapporti scienza-senso comune, Esiste una strategia multipla di riferimento che introduce quella fenomenologia che, hegelianamente parlando condiziona il nostro concetto di conoscenza.
Il senso comune in effetti ha costruito lo sfondo di animazione della costruzione scientifica. Per Hegel non è più la conoscenza sostanza della realtà in grado di rappresentare le cose e gli oggetti che si formano, come idee, nella nostra mente perché la conoscenza risulterà avere, come unico oggetto, se stessa, essendo l'Assoluto un soggetto e non più una sostanza.
La realtà, e anche la conoscenza, è un continuo divenire e un continuo trasformarsi: un processo ininterrotto che ha come processo - la forma dialettica. Per Hegel solo con la dialettica è possibile comunicare le impressioni ed anche le nostre idee si sviluppano secondo un principio dialettico che parte dal famoso schema triadico: tesi, antitesi e sintesi, ciò che è diverso dalla ns. mente - l'altro oggetto estraneo o negativo non è eliminabile dal pensiero e dalla nostra vita. Anzi per Hegel, "l'altro differente" è indispensabile per il procedere della dialettica, che è la struttura stessa del reale con le sue difficoltà ed è lo spirito, l'essenza profonda del reale in quanto sa guardare in faccia ciò che non è ancora realtà - Ma di quale realtà si sta parlando? In effetti per Hegel l'essenza della realtà - lo spirito - non è l'intero ma è soltanto l'essenza di un processo infinito e che adotta la dialettica per essere compreso nella realtà.
Hegel scrisse una prefazione alla sua Fenomenologia solo dopo aver concluso l'opera. In essa scrive che «Il vero è l'intero. Ma l'intero è soltanto l'essenza completata mediante il suo sviluppo. Si deve dire dell'Assoluto che esso è essenzialmente un "risultato" e solo "alla fine" esso è ciò che è veramente; e la sua natura consiste nell'essere effettualità, essere soggetto o divenire se stesso.» Hegel spiega perché l'Assoluto debba essere considerato un risultato e non un cominciamento con un esempio. «Se io dico "tutti gli animali", queste parole non varranno mai una "zoologia" allo stesso modo, "divino", "assoluto", "eterno", ecc. non esprimono quel che vi è contenuto; quelle parole esprimono solo l'intuizione, l'immediato. Quel che è di più in quelle parole....contiene un "divenir altro" che deve essere ripreso, contiene una "mediazione". Ma della mediazione si ha un sacro orrore come se si rinunziasse alla conoscenza...» Insomma: se parlo solo di "tutti gli animali" senza parlare dei singoli animali che, presi ciascuno in sé, non sono "la zoologia", non comprenderò mai la zoologia; se non do concretezza all'astratta determinazione, se non percorro un processo che comprende i momenti parziali, ciascuno come momento costitutivo dell'Assoluto, procedendo per mediazioni, non arriverò mai a conoscere l'Assoluto che tuttavia è già presente fin dall'inizio del processo. Per giungere al "sapere propriamente detto", per produrre il puro concetto «il sapere deve affaticarsi in un lungo itinerario. Tale divenire...sarà ben altro di quell'entusiasmo che, come un colpo di pistola comincia immediatamente dal sapere assoluto e si trae dall'impiccio di posizioni diverse, dichiarando di non volerne sapere.» (G. W. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, a cura di Vincenzo Cicero, ed. Rusconi, Milano 1995, pp. 275-289).
A partire quindi da Hegel la scienza della ragione ora, non può confondersi con l'approccio fittizio di una coscienza per sé vuota con un dominio di cose indipendenti ed esterne all'auto-riconoscimento, immanente alla coscienza comune che procede attraverso numerose autocoscienze.
La coscienza comune procede erraticamente; essa, infatti, non riconosce il disegno della trama cognitiva alla quale è ordinata. Ma vi è un occhio a sorvegliare dall'alto l'andamento dell'esperienza della coscienza, è questo medesimo processo, per Hegel, non è visto per sé stessi ma per noi; Quel noi è anche consapevolezza scientifica-filosofica raggiunta che dispone gli andamenti della coscienza comune e suoi fittizi criteri del vero in un percorso strategicamente finalizzato al sapere assoluto.
Il senso comune, oltre a costruire il non scientifico il non-razionale, è anche al tempo stesso un sostegno della scienza, perché è proprio dal groviglio dei suoi pregiudizi, dalle sue distorte immagini della verità, che si dipana la fibra forte e robusta dell'autentico sapere. Proprio perché non è scienza, il senso comune viene ad acquistare una delle sue più rilevanti proprietà quella di offrire titoli di concretezza di aderire al reale, all'esperienza vissuta, al quotidiano. La bassa, la degradata e umile empiria è il non-sapere o il sapere selvaggio che si utilizza strategicamente come sintomo del concreto della realtà vissuta.
E poiché tale è la volontà strategica che si impone non ha importanza che dietro al senso comune si nasconda ora Protagora, ora Aristotele, ora Locke, ora Kant. Forse il senso comune sa di essere senso comune? In questa forma travestita del non sapere, la coscienza comune costituisce la scena originaria delle operazioni cognitive. Il senso comune in una variante di questa funzione, può risultate anche come la figurazione fisiologica dl sostrato biologico della scienza.
Il pensiero popolare serve a formare il tessuto delle operazioni scientifiche propriamente dette. Ma. con questa consapevolezza non troviamo più certezze ne evidenze immediate e nemmeno le mitologiche figure del passato; il così detto soggetto conoscente da un lato ed il loro presunto fondamento ontologico dall'altro; ossia le cose che si conoscono attraverso il senso comune sono dei linguaggi che ripetono, determinate interpretazioni. Questo ovviamente spezza definitivamente quell'idea dell'antico sapere e mitologia della coscienza che trovava soddisfazione nei codici e comportamenti che si spingevano alla katharsis ossia una forma di purificazione protesa alla ritualizzazione e che metteva in contatto, il senso comune con il divino o il mondo dei fenomeni naturali. A tale riguardo, non va dimenticato quell'interessante libretto o critica, scritta da Wittgenstein che prende le distanze da James Frazer ed il Ramo d'oro; Frazer definisce senza senso e autentiche sciocchezze queste pratiche misteriche ed arcaiche del passato. Wittgenstein, autore del Tractatus invece asserisce il contrario ossia che la ritualità fa parte della conoscenza e non può venire studiata o catalogata troppo semplicemente come residuo di errori di senso comune. (Ludwig Wittgenstein Note sul Ramo d'oro di Frazer - Adelphi - p. 23-25)
Hegel per rispondere ai tanti quesiti metafisici in rapporto all'Assoluto teologico o Dio, segue gli antichi miti gnostici convinto di dare alla creazione una realtà auto-determinata di Dio, originariamente "uno" ma "astratto" che dividendosi da sé (come individuale) diventa universale e molteplice in quanto si concretizza nella sintesi dello spirito storico.
Ovviamente questo è un punto molto discusso e criticato perchè, come molti studiosi hanno fatto notare, il pensiero dialettico di Dio mette in evidenza il divenire di Dio (incluso il suo cambiamento, come molti hanno definito anche rivoluzionario dello spirito nel mondo) questa sintesi si contrappone con il conservatorismo teologico, soprattutto cattolico, che concepisce Dio come Assoluto-assolutamente immodificabile, nello spazio e nel tempo; anche se il figlio di Dio, per mezzo dello Spirito entra a far parte della prassi di senso comune, la conoscenza di Dio è immutabile e non soggetta ad alcuna opinione o determinazione logica che trasforma l'esistenza storica e relativa all'esperienza.
Fabriano/Luglio 2013 per aminamundi
Ulteriori APPROFONDIMENTI:
J. Locke An Essay Concerning Human Understanding-saggio sull'intelletto umano / Oxford 1984,- tradotto da C.Pelizzi, Bari 1972
G. W. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, a cura di Vincenzo Cicero, ed. Rusconi, Milano 1995,
La forza attrattiva delle idee, compendio su Francesco M.Zanotti di M.Binda /Helicon - Arezzo 2008
Eric Dodds - I Greci e l'Irrazionale - Burr Biblioteca Universale Rizzoli - Milano, 2009
EysencK Michael in atti di ricerca Ecole des Hautes Etudes, Parigi sul tema della lingua perfetta in Europa 2009/2011
Ludwig Wittgenstein - Tractatus logico-philosophicus - Biblioteca Einaudi - 1988