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IL  "GIULLARE" 

a cura di Ivano Fossati

 (aminamundi 22 sett.2014) 


 

Non si dovrebbe commentare il grossolano errore di scambiare il giullare per il buffone, credere, pure in buona fede, che l'uno sia l'altro è che servano alla stessa adoperazioni o attendano alle medesime occupazioni artistiche. Vi è differenza!

"un giullare è un essere multiplo; è un musico, un poeta, un attore e un saltimbanco!  E' il suonatore di ghironda che canta le canzoni di gesta ai pellegrini; è l'autore  e l'attore degli spettacoli che si danno i giorni di festa all'uscita  della chiesa è il conduttore di danze che fa ballare la gioventù,  è il suonatore di tromba, l'affabulatore, è  il cavallerizzo che volteggia sui cavalli, lo sbruffone, e l'imitatore; il giullare è tutto ciò ed altro ancora.

Il buffone, meno abile ma più resistente,  sopravvive tutt'oggi alla sua stessa tradizione. Come la maggior parte degli animali in cattività ha perduto le proprie doti più schiette, vivendo senza quasi più coscienza di sé, dissimulando salta i paramenti della moderna umana credibilità".

(Faral - 1910)

 

Canto giullaresco  di Francesco Landino - XIII secolo:

Nessun ponga speranza

nella  sua giovinezza.

che s'ell'a in sè vaghezza.

Tosto va via per naturale usanza

Vò ben che ciaschedun l'abbi a sè cara

per sè virtù  die'l tempo

che se nel tempo verde non s'impara

tropp' è grave nel tempo.

Vò giovani per tempo

vogliate'l tempo porre

che se veloce corre

nella virtù ch'ogn'altra cosa avanza.

Nessun ponga speranza

in sua giovinezza

che s'ell'a in sè vaghezza

tosto va via per natural usanza.

 

 

E' lentamente fra il quindicesimo e il sedicesimo secolo  che i giullari perdono fisionomia, la loro figura sembrerebbe scomparire per sempre.

Le diverse condizioni, il maggior rigore nell'affrontare le espressioni artistiche, sia pure di intrattenimento, cambia quella figura  in un ruolo più propriamente  definito, quello degli attori e dei trovatori. I  trovatori sono non di rado buoni poeti, spiriti sensibili e liberi. La canzone d'amore e di gesta, ripulita del giullaresco istrionismo e di ogni ammiccamento e volgarità, entra finalmente nell'ambito aristocratico, al punto che spesso i signori amano misurarsi con l'arte trovadorica.

La  canzone trovadorica non è ancora musicalmente  colta in senso stretto, essa deriva con poche varianti dalla mandola bretone, la polifonia sapiente è ancora rinchiusa nelle chiese, nel canto liturgico dei conventi e delle abbazie. L'anima dl giullare ha comunque in gran parte già nel cinquecento, spezzato la catena che la teneva legata alla gamba della tavola, nella sala da pranzo del suo antico padrone.  L'anima dl giullare è praticamente immortale. E' la colonna portante, l'energia che anima la rappresentazione dell' opera  buffa. Chi può aver architettato di ridurre il melodramma, già abbastanza buffonesco di per sé, in  operetta, verso la fine del secolo scorso per  meglio smontarne e separarne i pezzi , le facili arie, riportandole al ruolo di canzoni popolari, operazione comunque messa in atto anche nei confronti dell'opera di primo rango. Giullaresco è in definitiva il nostro desiderio di rendere popolare, anzi popolaresco, alla portata e perfino risibile ciò che risibile non è non dovrebbe essere. Chi, se non un'anima buffonesca può aver ideato di applicare un brano di Mozar alla reclame di un brandy?

Chi se non la stessa anima incolta ma incantata e gioiosa può aver compiuto la medesima operazione coniugando un aperitivo  a Srauss!

L'anima giullaresca vive  eccome. Ci accompagna quasi ogni mattina seduto accanto  a noi in automobile, nei viaggi verso l'ufficio, la fabbrica, il negozio, lo studio di registrazione. Aspetta paziente, quasi penitente, il momento immancabile di metterci fra   la mani il berretto a sonagli, e noi quel berretto lo indossiamo, in molte e molte più occasioni di quanto riusciamo a ricordarne. Più tardi la psiche rimuoverà, e aggiusterà tutto.

Cosi ci siamo noi  e noi soli in cima all'enorme mucchio  che è l'immane storia delle idee. Noi e la nostra scimmia dal cappello sonante.  D'altro  canto quell'enorme ammasso di fatti e parole a cui normalmente rivolgiamo il nostro rispetto deferente e un po' intimidito, se  visto stratificato nel suo insieme, coi suoi corsi e ricorsi eterni, ha dei tratti di bella,  piena  e ridondante idiozia.

Bene prima che le mie riflessioni  sulla giullaresca natura che è di tutti noi , si tingano di cupo, portandomi ad inondare anche solo mentalmente un odioso "ma che ce frega ma che ce  importa"...metto una canzone e affido alla voce cristallizzata  di Asturd Gilberto il tentativo  di un consapevole e leggero finale senza conclusione. "Ah insensatez...."

 


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